Silvio Muccino, con Riccardo Tozzi (fondatore della casa di produzione Cattleya) e la scrittrice e sceneggiatrice Carla Vangelista in una conferenza stampa abbastanza atipica annunciano a Roma che a settembre partiranno le riprese del prossimo film. Un progetto dunque ancora work in progress, che però ha le sue linee chiave già definite: tra i protagonisti lo stesso Silvio e il piccolo Michael Rainey. Tratto dal romanzo "Un altro mondo" (Feltrinelli) della Vangelista, con la quale Silvio aveva collaborato anche per il suo film d'esordio Parlami d'amore (otto milioni d'incassi), la nuova opera del giovane regista affronta un percorso diverso da quello precedente: si confronta in maniera molto profonda con la propria generazione, affronta la tematica universale della paternità assente, racconta un viaggio tra l'Italia e il Kenya durante il quale i personaggi vanno a fondo con se stessi e con la realtà difficile in cui vivono. E' la storia di pochi protagonisti (Andrea-Silvio, la fidanzata Livia e il piccolo Charlie-Michael Rainey) che scavano nella propria anima per sondare verità che fino al giorno prima avevano negato, un film delicato e romantico che trova anche lo spazio per un po' di comicità.
Silvio ci parla della genesi di questo film? Silvio Muccino: Io e Riccardo quando abbiamo letto le bozze di questo libro di Carla Vangelista siamo rimasti veramente sorpresi dalla sua bellezza e dalla sua intensità. E' un libro che Carla ha scritto con enorme tatto ma anche con passione e generosità. E' un libro che racconta un percorso molto intimo dei suoi personaggi, in particolare del suo protagonista Andrea. Ci siamo chiesti se poteva diventare un film e adesso stiamo lavorando sull'ottava stesura perché volevamo capire se un film poteva rappresentare questa bellezza e questa intensità. Siamo pronti a partire adesso (sospira il giovane ventisettenne) e non vediamo l'ora!
Qual è la storia del libro e del film?
Silvio Muccino: "Un altro mondo" è una specie di About a boy moderno. E' la storia di un ragazzo, Andrea, figlio della Roma bene, a cui apparentemente non manca nulla, che più che altro scivola sulla vita, non ha ambizione né passioni. E' un ragazzo che viene mantenuto dalla madre e vive una storia d'amore con una ragazza della sua età, Livia, che ha enormi problemi anche di tipo alimentare. I due vivono un amore con la paura di dirsi che è un vero rapporto: non si guardano in faccia, non si fanno promesse...
Il giorno del suo ventisettesimo compleanno Andrea riceve una lettera dal padre, un uomo che vent'anni prima è scappato ed è andato a vivere in Kenya. Dopo vent'anni questa lettera gli comunica che suo padre sta per morire e che ha un unico desiderio: quello di vederlo. Per quanto rabbioso sia il loro rapporto, Andrea non riesce a sottrarsi e decide di partire, ma all'arrivo non trova un uomo in fin di vita e al posto suo trova un bambino di nome Charlie, figlio di suo padre e di una donna keniota. Il bimbo, proprio come Andrea, è un altro orfano, che ha già perso la madre e ora sta per perdere il padre e ha solo questo fratello italiano che non vuole avere a che fare con lui perché lo mette di fronte al dolore dell'abbandono, dal quale lui scappa da vent'anni. E' un impatto violentissimo quello tra Andrea e Charlie, ma nonostante il primo faccia dei tentativi disperati di abbandonarlo, il secondo riesce ad aprire una breccia nella sua corazza e parte per l'Italia insieme a lui. In parte Andrea si sente costretto a prendersi cura del bambino, in parte è desideroso di farlo. Charlie sconvolgerà l'equilibrio della giovane coppia costringendoli a diventare grandi e genitori di se stessi.
Lei ha detto di aver affrontato dei problemi di trasposizione del romanzo per il grande schermo. Nella sceneggiatura finale su cui lavorerete quanto è rimasto del testo originale? Silvio Muccino: Le difficoltà sono state appunto sulla sceneggiatura. Abbiamo dovuto sacrificare alcuni personaggi laterali, che raccontano il mondo di Andrea, un mondo di ragazzi che non vogliono mai prendersi sul serio, spesso sbagliando. Abbiamo preferito affondare le mani nell'anima dei protagonisti e lasciare sfocato lo sfondo. Nella storia, dal momento in cui Andrea e Charlie arrivano a Roma il film diventa un'altra cosa rispetto al libro, prende un'altra strada.
Ci parla delle riprese, di come ha affrontato il casting o se ha già scelto degli attori?
Silvio Muccino: Per quanto riguarda le riprese, girando in Africa non conosciamo ancora i tempi della lavorazione perché il film è anche un viaggio nell'entroterra africano.
Invece per i personaggi, posso dire che io interpreto Andrea, il protagonista, Livia è la mia compagna e Charlie è il piccolo Michael Rainey. Non abbiamo ancora deciso per Cristina, la madre di Andrea e per il suo migliore amico, che sono comunque due personaggi principali.
Come ha scelto l'attore che interpreterà il suo fratellino africano? Silvio Muccino: Tutto è iniziato un pomeriggio dell'estate scorsa. Eravamo a casa io e la mia compagna e, mentre discutevamo del film e aspettavamo un'illuminazione, stavamo guardando un programma alla televisione. E l'illuminazione è arrivata con il video di Tiziano Ferro "Il regalo più grande", che a noi piaceva molto, dove la star che rubava la scena al cantante era questo bambino newyorkese, di mamma giamaicana, di soli otto anni e mezzo. E abbiamo detto:"Eccolo, è Charlie!". Io avevo già iniziato le ricerche in Italia, ma questo ruolo era difficile perché aveva una serie di fragilità e di sfrontatezze insieme. Siamo rimasti incantati dal piccolo Michael. Abbiamo incontrato la mamma, ma lui non conosceva nemmeno una parola d'Italiano. Così è rimasto a casa mia per una settimana con la madre e il coach italiano e poi ha fatto un provino straordinario.
Credo che se non avessi avuto questo film, dopo averlo conosciuto ne avrei scritto uno apposta per lui.
Come mai per questo film avete scelto proprio l'Africa? Credete che questa internazionalizzazione delle storie e dei personaggi sia una nuova tendenza del cinema italiano giovane?
Riccardo Tozzi: Questo è il secondo film che produciamo in un anno e mezzo, dopo Bianco e Nero di Cristina Comencini, sul rapporto Italia-Africa. E' un momento in cui l'Italia forse cerca anche un'internazionalizzazione, ma lo fa indirettamente. Questo è un film con una radice molto universale e primaria perché su una paternità che non c'è. La crisi della figura del padre è centrale. Potrebbe quindi essere ambientato in qualsiasi parte del mondo. Affronta anche la possibilità di declinare un tema così difficile in modo più tangibilmente universale. E' in fondo il secondo "bianco e nero" in poco tempo! E forse questo vuol dire che il nostro Paese è investito da questa situazione. E' un'internazionalizzazione in senso indiretto, ecco. E' bello poi che il confronto con l'altro non venga da un approccio sociologico, ma nasca invece da un approccio profondo e psicologico in cui le differenze sfumano nei fondamenti dell'umano.
Silvio Muccino: Direi che più che un confronto generazionale, c'è un confronto dei personaggi con il proprio passato. credo che questa voce sia diventata una tendenza del cinema forse perché i registi della nuova generazione sentono il bisogno di conoscersi. I giovani hanno dimenticato una lezione che ci viene impartita al liceo: "conosci te stesso"! Io una volta ho letto una frase bellissima: "L'Africa è una specie d'inconscio interiore". E credo che l'inconscio sia proprio come l'Africa, qualcosa che nessuno vuole vedere, qualcosa che ci dà fastidio. L'Africa è un continente che non viene mai preso troppo sul serio, ma è prestandovi attenzione, piuttosto che con i pochi aiuti umanitari, che si fa qualcosa per l'Africa. E' un continente che ha bisogno di essere guardato, solo così poi si può crescere.
Cosa è cambiato rispetto a Parlami d'amore? Silvio Muccino: Rispetto a Parlami d'amore, questo è un film che stringe di più l'obiettivo. Parlami d'amore voleva raccontare tante cose, questo invece vuole soffermarsi sui protagonisti. Volevo una storia che mi spingesse lontano, alla scoperta, un film che fosse una vera avventura.
Signor Muccino i suoi personaggi sono sempre figure tormentate, caratterizzate da una sofferenza. E' un caso o c'è un suo particolare interesse dietro questa ricorrenza? Silvio Muccino: Forse è una predilezione! Ma è perché nei film cerco sempre di liberarli dai dolori che hanno. Sono personaggi che vivono un percorso e io amo l'evoluzione delle loro fragilità. Amo le storie in cui il protagonista zoppo alla fine corre i cento metri e vince! Lo trovo molto romantico. E i personaggi di Carla Vangelista hanno questa tridimensionalità. Oggi non è semplice da trovare perché nel descrivere la società, nell'affrescare la sua contemporaneità, nei film, spesso poi si perdono i particolari delle persone. Se scegli di raccontare qualcosa di intimo, secondo me guadagni qualcosa dai tuoi personaggi!
C'è qualche elemento di autobiografismo in questo libro? E nel film? Carla Vangelista: Quando scrivi c'è sempre qualcosa di autobiografico. Ma qui c'è l'Africa che suona come qualcosa di mio e di mio figlio. L'autobiografia poi emerge quando sono davanti al computer e leggo dei miei personaggi. L'Africa è intesa come un nostro viaggio. C'è qualcosa di autobiografico nell'abbandono da parte del padre, ma siamo tutti un po' orfani in qualche modo, ci sentiamo orfani quando ci manca una parte.
Silvio Muccino: No, non c'è nulla di autobiografico anzi proprio perché nasce da un libro mi sono limitato ad amarlo così com'era. Ci sono certo molte debolezze di Andrea che mi appartengono, ma anche quelle di Charlie sono un po' mie...
Per Parlami d'amore avevate scritto insieme il romanzo e poi la sceneggiatura. Questa volta vi siete intrecciati direttamente per la stesura. Qual è il segreto della vostra collaborazione signora Vangelista e signor Muccino? Carla Vangelista: Il segreto del nostro lavorare così bene insieme è... (sorride) che litighiamo come cani dalla mattina alla sera! Non importa se c'è un libro scritto insieme oppure no perché dal momento in cui iniziamo a scrivere una sceneggiatura interrompiamo questo nostro rapporto. Forse è proprio grazie a questa tensione che poi arriva il momento creativo, nasce una scintilla e lavoriamo fino a raggiungere un accordo. Come dice Silvio, credo anch'io che la vita sia così piena che a volte cerchiamo di mettere a tacere questo tutto, che invece io metto nei miei romanzi.