Sicily of Angels
Sembra sempre più difficile per il cinema indipendente e per i giovani registi emergenti riuscire ad avere una distribuzione nelle sale italiane. Si tratta di un percorso contorto e lungo come un serpentone, un tunnel che non sempre è in grado di arrivare al pubblico e mostrargli cosa c'era alla fine. Anche Daniele Gangemi, Catania classe '80, ha dovuto sopportare non pochi dossi, ma il suo piccolo e autentico film giunge in sala col traino di un merito di cui spettatori e adepti dovrebbero tener conto: sebbene sia un debutto cinematografico, Una notte blu cobalto si presenta come un'opera anomala nel panorama cinematografico nostrano che si gongola da anni tra la mancanza di brio e di idee e tra forme e generi ormai congestionati come la commedia stagionale. Nel suo coraggioso tentativo Gangemi si mantiene lungo un tratteggiato bordo dell'ambizione, con momenti artefatti e dai toni pretenziosi e altri fantasiosi, ben più godibili, sorretti da una creatività artigianale e onesta.
Il percorso del giovane catanese prova a tracciare un esordio che nega le convenzionali strutture stilistiche e narrative senza però scardinarle in maniera astratta, esattamente come la dimensione onirica, che plasma la sua materia dimenandosi tra il raziocinio e l'istintuale: la storia tragicomica di Dino Malaspina (Corrado Fortuna), uno studente che, mollato da Valeria (Regina Orioli), si blocca negli studi universitari e "per non arrendersi all'amore si arrende alla vita" è un racconto apparentemente semplice, ma la sua piega barocca e surreale è un ripiego innovativo che aggiunge valore al film. Una notte blu cobalto si popola infatti di personaggi bizzarri, sagome notturne solitarie che il protagonista incontra alle consegne per la pizzeria Blu Cobalto, dove improvvisamente decide di lavorare. Primo tra le ombre di una città quasi selvatica come Catania, con i suoi vicoletti e le sue piazzette illese dalla modernità e con la sua atmosfera mobile come una giostra pronta ad accogliere chiunque vi approdi, Turi, il proprietario della pizzeria dal volto mefistofelico e dalle scaglie di verità da prontuario di uno stratega d'altri tempi: l'uomo diventa il deus ex machina della vita del ragazzo e, sebbene gli affidi il solo compito di portare da un numero civico all'altro pizze "speciali", lo indirizza alla riflessione e al cambiamento fino alla presa di coscienza finale, un risveglio catartico che rivela a Dino che niente è mai come appare. Ricco di citazioni giovanilistiche e cinefile, da La strada e Donnie Darko fino a Paprika, che ammiccano al pubblico degli appassionati e traspirano nello stesso tempo il sincero trasporto di un cineasta all'opera prima, il film del promettente Gangemi ricorda il primo Soldini, che, prima di votarsi al più recente e spietato iperrealismo quotidiano e domestico, ci faceva entrare in un mondo fatto di intermittenze colorate e brillanti, qui però velate della cupezza del thriller. Se a indebolire la complessità del soggetto sono i dialoghi, tiepidi e stemperati dal romanticismo di metafore funzionali insistite e asettiche, per bilanciare il giudizio fanno da contrappunto visivo la regia, con numerosi e geometrici piani ravvicinati, il ritmato montaggio da videoclip, le riprese aeree che sembrano abbracciare Catania come un bambino, i girotondi d'immagini che talvolta oscillano come l'inquadratura sporca sul protagonista nell'ultima parte. Ci pensano poi l'estro musicale del bravo Giuliano Sangiorgi, voce dei Negramaro, e le efficaci interpretazioni di Alessandro Haber, nella difficile parte dell'angelo ineluttabile Turi, e di Valentina Carnelutti, in un ruolo minore, a limare elaborazioni poco convincenti e a persuaderci della bontà di un progetto che merita seguiti.