Compitino. Che poi, potrebbe anche bastare, ma forse, se consideriamo il genere, e se consideriamo le figure raccontate, il compitino risulta svilente, e alla lunga ben poco interessante. Nonostante dietro il compitino ci sia un'onesta e appassionata causa, sorretta da un racconto che potrebbe avere diversi punti in comune con il mondo contemporaneo, oltre che trattare la questione di genere e la questione etnica all'interno del meccanismo politico statunitense (e dunque all'interno del potere assoluto). Del resto, Shirley: in corsa per la Casa Bianca, diretto da John Ridley, soffre ma, al contempo, ha le stesse peculiarità di Rustin con Colman Domingo.
Entrambi sono distribuiti da Netflix, ed entrambi i film sono un'istantanea che si concentra su una figura chiave della storia politica statunitense (e questo aiuta nell'idealizzare la storia), ma ancora entrambi sono inquadrati da un'ottica didascalica, e molto (molto) patinata. Shirley, come Rustin, segue quindi la traccia del più classico biopic. Non esce mai dai binari, resta fedele al racconto, esagera con il trucco e l'artificio, illumina la scena a più non posso (in Italia diremmo "smarmella", ma non crediamo che negli USA conoscano i neologismi cinefili di Boris), spingendo con la retorica e con i "messaggi". Insomma, una figura potentissima, come quella di Shirley Chisholm, in qualche modo depotenziata da un film biografico che preferisce la standardizzazione alla grinta e allo spirito narrativo.
Shirley, la prima donna nera a sedere alla Camera dei Rappresentanti
Ma chi era Shirley Chisholm? Innanzitutto va detto che nel biopic scritto e diretto da John Ridley (a dieci anni da un altro biopic, quello su Jimi Hendrix) la Chisholm è interpretata da Regina King (anche produttrice), che complice il trucco e il parrucco, dimostra una sincera somiglianza con la politica e attivista. E sì, Shirley tratta proprio di attivismo e di politica, presentandoci la protagonista quasi all'inizio del suo percorso, mettendosi in posa tra centinaia di uomini per la classica foto di rito fuori il Campidoglio: è il 1968, e Shirley Chisholm, nata a Brooklyn nel 1924, è la prima donna nera ad aver ottenuto un seggio alla Camera dei Rappresentanti. Tutto qui? Altroché: il biopic infatti si concentra sulle aspirazioni presidenziali della deputata.
Nonostante i pareri contrari, nel 1972 si candida alle presidenziali, senza però riuscire a vincere le primarie. Nella sua squadra ci sono Mac Holder (Lance Reddick), come consigliere; poi Arthur Hardwick Jr. (Terrene Howard) incaricato di raccogliere i fondi, e il marito Conrad (Michael Cherrie) come capo della sicurezza (la Shirley scampò a diversi tentativi di omicidio). Interessante poi la figura di Cornell Robert Gottlieb (Lucas Hedges), giovanotto che ha il compito di ideare una strategia che potesse puntare sulle nuove generazioni, in quanto nel 1972 le votazioni per le presidenziali erano accessibili per la prima volta a coloro che avevano compiuto diciotto anni.
Un biopic fin troppo canonico
Quindi, da una parte una figura fortissima, e poco conosciuta al di fuori degli Stati Uniti, dall'altra la sua trasposizione in un biopic sì sentito, ma troppo pigro nel rintracciare la giusta caratterizzazione, e pigro nell'offrire uno specchio diversificato e, in un certo senso, anche più significativo. Tradotto, Shirley: in corsa per la Casa Bianca, a cominciare dalla tenue fotografia di Ramsey Nickell, proseguendo poi per l'accompagnamento musicale di Tamar-kali (che accompagna la scena, ma senza impreziosire), sembra un biopic dal formato scolastico, che avanza per aforismi, rinunciando all'incisività che, tra l'altro, ha contraddistinto le scelte della deputata, dimostrando lungimiranza, ardore e passione per un credo politico sorretto dagli ideali e scevro dalla smania di potere.
Se poi Regina King (che non ha bisogno di presentazioni, legandosi spesso ad una causa) ce la mette tutta a dare la giusta tridimensionalità alla sceneggiatura, differenziando gli umori in base agli eventi (di conseguenza, prova a farci appassionare, per quanto possibile), sarà invece l'intera struttura che rinuncia a distinguersi, finendo per dissipare il calore e il trasporto cercato da John Ridley in un film biografico che non sposta né arricchisce, ma anzi prosegue la sua narrazione lineare, come se fosse una sorta di documentario. Si poteva fare di più? Nemmeno a dirlo: con una personalità come quella Shirley Chisholm, non solo si sarebbe potuto, ma forse sarebbe stato addirittura obbligatorio.
Conclusioni
Spinto da una causa importante, e sorretto in parte da una certa passione, Shirley: in corsa per la Casa Bianca non riesce a coinvolgere come dovrebbe, perdendo la potenza dietro una messa in scena troppo artificiale, bloccata in un'estetica e in una narrazione didascalica. Nonostante la bravura e l'impegno di Regina King, il film non riesce a coinvolgere, risultando quasi una ricostruzione documentaristica.
Perché ci piace
- La storia di Shirley Chisholm.
- La bravura di Regina King.
Cosa non va
- Un biopc troppo canonico.
- Manca di coinvolgimento.
- Una messa in scena notevolmente artificiale.