Share, la recensione: gli orrori virali di oggi

La recensione di Share, film di Pippa Bianco con Rhianne Barreto e Charlie Plummer che affronta la questione del cyberbullismo in chiave thriller.

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Share, una immagine del film

Con la recensione di Share, primo film di Pippa Bianco che approfondisce un tema già affrontato dalla regista nell'omonimo corto, scatta anche una piccola riflessione sulle modalità di fruizione dei film, con un caso emblematico e squisitamente ibrido: dopo la prima mondiale al Sundance Film Festival lo scorso gennaio, l'opera prima della Bianco è stata acquistata dalla HBO, il che lasciava intendere un destino da TV movie con occasionali passaggi festivalieri come accaduto recentemente con The Tale. Invece non è stato così, perché negli Stati Uniti il film è arrivato nelle sale, complice il distributore A24, dopo aver raccolto consensi anche a Cannes. In Italia, dal canto suo, il lungometraggio è stato oggetto di uno slot di gala alla Festa del Cinema di Roma, per poi arrivare su Sky e NowTV. Forse la scelta più giusta per un oggetto fragile e delicato come questo, che in questo modo raggiungerà più rapidamente il proprio target, diffuso proprio come il video che è al centro dell'intreccio narrativo.

Un mistero virtuale

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Share: un primo piano di Rhianne Barreto

La storia di Share ruota attorno a delle domande a cui la giovane Mandy (Rhianne Barreto) non è in grado di rispondere: cos'è successo la sera prima? Com'è tornata a casa? E da dove proviene il misterioso video che sta circolando in rete, dove lei è priva di sensi e umiliata, e l'inquadratura finale suggerisce che il peggio debba ancora venire? È da lì che parte l'indagine di Pippa Bianco, che apre il film con un'inquadratura il cui senso inizialmente non è chiaro, ponendo le basi per l'esperienza di Mandy che dovrà rimettere insieme i tasselli di un puzzle di cui non ha alcun ricordo. Gli interrogativi si susseguono, e con essi aumenta non solo la vergogna, ma anche la tremenda consapevolezza di avere a che fare con un crimine, dal quale però Mandy è inevitabilmente dissociata sul piano mentale: le sequele fisiche non sono propriamente assenti, ma l'amnesia comporta quella sensazione che, per certi versi, la vittima nel video fosse un'altra persona.

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Share: un'immagine del film

Al netto del periodo in cui è uscito, il film non è strettamente legato al movimento #MeToo, dato che la regista coltivava il progetto da diversi anni e il cortometraggio originale, realizzato in attesa dei finanziamenti per la versione lunga, risale al 2015. La struttura è quella del thriller psicologico, più attento all'enigma e alle sue conseguenze che alla volontà di denunciare una mentalità omertosa legata alle violenze sessuali. Certo, l'analisi degli equilibri di potere e del fallocentrismo c'è, ma è situata in un contesto scolastico, quindi si focalizza maggiormente sulla banalità delle cattiverie quotidiane nei corridoi del liceo, esacerbate dall'onnipresenza degli smartphone e dei social media che hanno in parte reso nullo il concetto dei limiti e di ciò che è bene o male.

Il video, in apparenza goliardico, è in questa sede un virus, trasmesso a mo' di malattia venerea tramite la condivisione costante (da cui il titolo del film). Il vero cattivo, in tal senso, non è l'autore della violenza, bensì il sistema del pettegolezzo a macchia d'olio, che trasforma un'umiliazione criminosa in oggetto di scherno come se fosse un evento adolescenziale qualsiasi. Ammirevole, da quel punto di vista, il lavoro sull'apparato sonoro, che rende la notifica dei messaggi il maggiore strumento di tensione all'interno di un meccanismo drammaturgico che mette a nudo le ipocrisie di una gioventù bruciata dalla comunicazione virtuale.

Sola contro tutti

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Share: Rhianne Barreto in una scena del film

Pippa Bianco sfida in parte le convenzioni del genere, soprattutto quando Mandy interagisce con i genitori, un dialogo duro e imbarazzante che restituisce un quadro famigliare più realistico rispetto alle tendenze moralizzatrici che siamo soliti vedere in operazioni di questo tipo. È anche uno dei pochi momenti in cui non è predominante il sentore di una solitudine opprimente, paradosso di una comunicazione globale che in realtà ci isola sempre di più.

Ed è in quel secondo caso, quando si ritrova senza sostegno fisico, a tu per tu con uno schermo infido, che colpisce maggiormente al cuore la performance della giovane Rhianne Barreto, piccola rivelazione di questo 2019 cinematografico e televisivo che incarna con grande umanità una persona che il mondo esterno ha trasformato in una sorta di appestata virtuale. Tramite lei, e i primi piani di Mandy che si rende progressivamente conto di ciò che le è stato fatto, viene messo a fuoco il morbo della rete, delle sue perversioni liquidate come curiosità giornaliera, oggetto di analisi in un lungometraggio che, come suggerisce il titolo, merita la massima condivisione, tramite il passaparola e il modello di distribuzione italiano.

Conclusioni

Arrivati alla fine della nostra recensione di Share, la sensazione è quella di un profondo disagio, dettato dalla maestria con cui la regista racconta in ottica thriller le crudeltà di una società dominata dalla tecnologia, strumento che disumanizza tutto e tutti. Il film prende un tema forte e lo elabora con intelligenza e sensibilità, accantonando moralismi facili per far emergere le sfumature di una realtà (virtuale) molto complessa.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.4/5

Perché ci piace

  • L'impianto thriller è intelligente ed efficace.
  • Rhianne Barreto è straziante e bravissima.
  • L'assenza di risposte facili è un punto di forza...

Cosa non va

  • ... ma può anche infastidire chi si aspettava una visione più convenzionale.
  • Il tema non è per stomaci deboli.