Recensione Cemento armato (2007)

Sorprende, e in positivo, questo esordio di Marco Martani dietro la macchina da presa, che conferma una recente tendenza nel panorama del cinema italiano che vede gli sceneggiatori cimentarsi con la regia.

Sfortunate coincidenze

Squadra che incassa non si cambia. Avvicinarci con un certo sospetto ad un noir imbastito dalle menti che già erano dietro le commedie di Neri Parenti e il fenomeno Notte prima degli esami non ci sembra poi un errore così clamoroso. Certo c'è da rimanere spiazzati nel vedere l'intera squadra, tra cast tecnico ed artistico, dei due famosi episodi comici dedicati alla maturità di Luca Molinari, impegnata in un film drammatico, caratterizzato da un alto tasso di violenza e da una continua esibizione di soprusi e brutali esecuzioni. Perciò sorprende, e in positivo, questo esordio di Marco Martani dietro la macchina da presa, che conferma una recente tendenza nel panorama del cinema italiano che vede gli sceneggiatori cimentarsi con la regia, col caso di maggior successo proprio quel Fausto Brizzi che di Martani è collaboratore storico e che contribuisce quindi volentieri a questo suo debutto dalle tinte scure. Visto però il rodaggio dei suoi autori in altri ambiti, Cemento armato non poteva che caratterizzarsi come noir giovanilistico, che nelle battute iniziali stempera l'inquietante sensazione di tragedia imminente nei toni scanzonati cari a Martani e compagnia, per poi virare verso un gangster movie più classico che è una rapida discesa all'inferno dei suoi protagonisti.

Martani e Brizzi sceneggiano un soggetto dell'esordiente Luca Poldelmengo, la storia di una coppia di giovani fidanzati (Nicolas Vaporidis e Carolina Crescentini) di poche speranze che vede la propria vita sconvolta, per un'infausta serie di sfortunate coincidenze, dalla furia meschina di un terribile boss chiamato il Primario (Giorgio Faletti) che controlla mezza Roma (non quella turistica dei monumenti, ma quella del cemento armato dei palazzoni costruiti grazie al suo intervento) e si sente padrone del mondo intero e di quelle che egli considera le inutili vite degli altri esseri umani. Uno specchietto d'automobile rotto, considerato uno smacco inaccettabile, e il brutale stupro della ragazza ad opera del boss e della sua guardia del corpo innescheranno una doppia caccia all'uomo senza esclusione di colpi di pistola che porteranno, in un'escalation di violenza, all'inevitabile duello finale di questo western metropolitano nel quale si ritroveranno finalmente faccia a faccia il ragazzo e l'uomo decisi entrambi a vendicare i rispettivi smacchi subiti.

In Cemento armato si reinterpreta quindi l'eterna lotta tra il Bene e il Male, ma il merito dello script è quello di riuscire a non proporre una coppia di opposti ben definita, come di solito succede in questo tipo di discorso, ma umanizzando i personaggi, fornendo loro un'impronta più realistica. Così il Bene non si sa bene da che parte stia (se non forse da quella della donna che è sempre la vittima predestinata in una società come la nostra, ma nello stesso tempo rappresenta anche la sua unica speranza di salvezza) mentre il Male non ha mai ripensamenti nel suo percorso di distruzione totale di ciò che osa porsi dinnanzi ad esso, anche se poi nella dimensione familiare si rivelano insospettabili lati teneri. Il ragazzo che osa sfidare il boss (prima inconsapevolmente, poi animato dall'odio e dalla rabbia per l'umiliazione e l'annichilimento della propria donna) non è un santo, ma un teppistello di periferia che vive di furti e piccoli crimini e ha come passatempo preferito quello di sfasciare gli specchietti delle auto in fila nel traffico. Dall'altra parte c'è invece un uomo in balia del proprio delirio di onnipotenza, che crede di poter disporre liberamente delle vite altrui, decidendo perciò cosa fare dei loro corpi. Lo spettatore non può che immedesimarsi nel giovane vendicatore, ma la violenza con la quale questi risponde alla barbarie non può certo farglielo considerare un eroe da giustificare.

Martani porta i suoi personaggi nella Roma al limite, nella notte delle sue periferie e dispone una particolare cura per il reparto fotografia, muovendosi tra il calore della tana dei due innamorati, gli ambienti gelidi che abita il Primario e la zona di confine rappresentata dalla strada. In una storia così nera, destinata per forza ad una tragica conclusione, l'unica speranza è legata all'amore, ma in un mondo dominato dalle ingiustizie e dalla crudeltà umana sembra non esserci più la possibilità di affidarsi ad essa per superare i momenti più duri. L'orgoglio è facile da ferire e la fame di vendetta può essere saziata soltanto con la prevaricazione e l'annullamento fisico. Il soggetto non banale porta quindi a considerare assolutamente riuscito l'esordio di Martani, che ha dalla sua il grande pregio di non aver risparmiato nulla allo spettatore, di non essersi concesso alcun risvolto happy o qualche svenevolezza romantica di troppo, anche se non mancano degli azzardi ingenui in fase di regia (uno su tutto l'uso lampo della snorri-cam di Aronofsky in stile Requiem for a dream per accompagnare il protagonista nella discesa dei suoi ultimi gradini verso l'inferno) ed una parte finale un po' troppo pasticciata e a tratti esagerata. Buona la prova di Nicolas Vaporidis che già tenta di scrollarsi di dosso il ruolo di scapestrato maturando di Notte prima degli esami con un'interpretazione fisica a completo servizio del suo personaggio. Sorprende Carolina Crescentini, con un ruolo che può finalmente mettere in risalto le sue doti, mentre la recitazione di Giorgio Faletti soffre come al solito di quel suo macchinoso parlottio che lo terrà sempre lontano dalla possibilità di essere considerato un vero attore.