Recensione Going By The Book (2007)

Gli sforzi sono tutti a livello di copione, uno script non solo brillante e votato alla risata, ma ancor meglio asciutto, sottile nella descrizione e conseguente ridicolizzazione delle convenzioni, beffardo nella decostruzione dei clichè, in equilibrio perfetto tra farsa e dramma morale.

Senza copione

Du-man (Jung Jae-young) è un inetto sbirro di periferia estremamente ligio al suo lavoro e inamovibile nella morale, zimbello dei colleghi. Il povero vigile di Sampo è tanto inflessibile da non negare una multa nemmeno al suo nuovo superiore (Son Byeong-ho), chiamato nella piccola cittadina per ristabilire l'ordine dopo una serie di rapine in banca che hanno seminato il panico tra gli abitanti. Il Capitano Lee, dopo aver assistito ad un'esercitazione dei vigili del fuoco, deicide di mettere a sua volta in scena la simulazione realistica di una rapina in banca, coinvolgendo anche la gente del posto e invitando i media, al fine di riconquistare la fiducia dei cittadini e ripristinare la credibilità delle forze dell'ordine. In questo modo Lee trova anche il modo di vendicarsi con Du-man assegnandogli il ruolo del finto rapinatore, convinto di assicurarsi così un veloce e lieto epilogo per il suo "saggio". Niente di più sbagliato, il timido poliziotto prende tanto sul serio l'incarico da non lasciare nulla al caso, al punto da ideare un diabolico piano che metterà a durissima prova i colleghi.

In patria il film ha avuto la sua riscossa al botteghino grazie ad un meritato passaparola, in un'annata decisamente tragica per il cinema coreano. Del resto Going By The Book è ben lontano dall'essere un capolavoro, ma ha il pregio di rinfrescare il ricordo di quella genuina curiosità priva di pregiudizi con cui ci si accostava, solo qualche anno fa, a pellicole come Guns & Talks. Stesso è lo sceneggiatore guarda caso, il bravo Jang Jin, ed è a lui che vanno riservati i meriti della riuscita di questa commedia. Gli sforzi infatti sono tutti a livello di copione, uno script non solo brillante e votato alla risata, ma ancor meglio asciutto, sottile nella descrizione e conseguente ridicolizzazione delle convenzioni, beffardo nella decostruzione dei clichè, in equilibrio perfetto tra farsa e dramma morale. Ma la regia di Ra Hee-chan non è evidentemente abbastanza matura per trasporre un testo tanto stratificato, l'esordiente regista si limita così a compiere un lavoretto scolastico sufficiente ma disomogeneo nel ritmo e piuttosto dispersivo, causa una lettura forse un po' superficiale delle idee di Jang, nel trasporre in immagini tutti gli elementi su carta.

La presenza mediatica nel luogo dell'esercitazione per esempio, filtro e causa del malcontento e delle paure degli abitanti della zona - che immediatamente riporta alla memoria le dinamiche del Breaking News di To -- poteva rappresentare un ottimo espediente di diverse trovate estetiche, ed è invece quasi totalmente dimenticata da Ra, e mal sfruttata dalla macchina da presa da lui guidata. Fortunatamente tutto questo pesa relativamente sulla riuscita complessiva del film, per quanto rimanga inevitabile parlare di occasione sprecata. Il regista comunque se la cava meglio nella direzione degli attori, il fare ottuso e al contempo infantilito e rigoroso del protagonista di Welcome to Dongmakgol (oltre al suo training da rapinatore, che include la visione di Old Boy di Park Chan-wook) meritano davvero un'occhiata.