Mentre sui media italiani si polemizza selvaggiamente sul tema dell'immigrazione, Costanza Quatriglio ci regala un film piccolo e necessario a metà tra fiction e documentario, Sembra mio figlio. La pellicola, in uscita nei cinema dal 20 settembre con Ascent Film, è stata presentata Fuori Concorso a Locarno 2018. Il film, che racconta la ricerca della madre da parte di due fratelli appartenenti all'etnia hazara, sfuggiti alle persecuzioni in Afghanistan da piccoli e trapiantati in Europa, nasce dall'incontro col vero protagonista della storia, Mohammad Jan Azad. La Quatriglio racconta: "Ho incontrato Jan mentre preparavo il documentario Il mondo addosso. Ho raccontato tante vicende di ragazzini, tra cui Jan, ed è proprio lui che mi ha permesso di conoscere la realtà dell'etnia hazara. Il film nasce da questo incontro tra esseri umani. Quando l'ho rivisto nel 2010, Jan mi ha raccontato di aver ritrovato la madre, che ora vive con lui a Roma, e abbiamo iniziato a progettare questo film quasi per gioco. Poi ho coinvolto Doriana Leondeff e abbiamo scritto il film mescolando realtà e finzione".
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Al di là della possibile etichetta di film politico, Costanza Quatriglio ci tiene a precisare che Sembra mio figlio è soprattutto un film sugli esseri umani. A interpretare Ismail, alter ego fictional di Jan, è un altro membro della comunità hazara in Italia, il poeta e giornalista Basir Ahang, scelto con un provino a Milano così come il fratello Dawood Yousefi, che invece risiede a Roma. "Gli hazara in Italia sono pochissimi" spiega Basir Ahang. "L'immigrazione è iniziata da poco, ci sono in tutto 2-3000 persone. Fino al 2008 gli hazara si dirigevano verso l'Inghilterra e i paesi del Nord, oppure in Indonesia e Australia, dove c'è la comunità più forte e la lingua è stata riconosciuta lingua nazionale. Oggi gli hazara vivono soprattutto in Canada, Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Austria, Norvegia e Svezia. In Italia ci scambiano per peruviani o ci chiamano afghani. Ma noi combattiamo da tutta la vita contro l'Afghanistan per il riconoscimento della nostra etnia".
La storia degli hazara è la storia di tutti gli immigrati
Alla base di Sembra mio figlio c'è un importante lavoro sulla lingua che amplifica l'effetto realistico. Costanza Quatriglio ha girato la seconda parte del film in Iran, vicino Quetta, visto che in Afghanistan non è possibile. "Abbiamo girato la prima parte del film a Trieste, volevamo dare un senso d'Europa senza essere troppo espliciti" spiega la regista. "Dopo quasi un anno siamo partiti per l'Iran, siamo stati la prima produzione italiana a 50 anni da Il deserto dei Tartari di Valerio Zurlini a girare lì. Abbiamo usato comparse locali, madri e donne trovate nei villaggi, in Europa sarebbe stato impossibile. Era importante per me conoscere gli antenati, ritrovare questa dimensione ancestrale della ricerca. Non ho avuto difficoltà a farmi capire, durante le scene più difficili non c'era bisogno di dirsi niente".
Costanza Quatriglio sottolinea la valenza universale di un film che parte da una vicenda personale per parlare di tutti gli immigrati che sono stati separati dai genitori. "Il finale non dà risposte, ma apre domande. La maternità non è solo quella biologica. Tutte le madri vedono nel protagonista il loro figlio, lui capisce che non potrà riconoscere la madre perduta, ma lei potrà riconoscere lui. Volevamo che non fosse solo una storia personale, ma parlasse di tutti i ragazzi in difficoltà, di tutte le storie di immigrazione. Girando ho provato una tensione fisica per via dell'enorme senso di responsabilità che provavo, ma la troupe mi ha aiutato molto. Quando accadono le magie devi solo essere felice". Oltre ad avere questa valenza collettiva, il merito del film di Costanza Quatriglio è quello di portare all'attenzione del pubblico l'esistenza dell'etnia hazara, ma come ha reagito la comunità alla notizia della pellicola? Lo spiega Basir Ahang: "Per gli hazara questo film realizza un desiderio che avevamo da anni. Racconta un dolore censurato in qualche modo. Finalmente qualcuno parla di noi".