Selfie di famiglia, la recensione: il ritorno del "filmetto francese"

La recensione di Selfie di famiglia: il film di Lisa Azuelos con Sandrine Kiberlain, Thaïs Alessandrin, Victor Belmondo prende spunto dal vissuto della regista.

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Selfie di famiglia: Sandrine Kiberlain e Thaïs Alessandrin in una scena del film

Che i francesi il cinema lo sappiano fare bene è talmente scontato che non c'è nemmeno bisogno di ripeterlo. E sono così bravi (anche) perché sanno spaziare ottimamente nei più disparati generi, dalla commedia sagace al dramma psicologico, per non parlare della sperimentazione per quanto riguarda l'animazione indipendente. C'è poi un filone che in Italia comunemente connotiamo con l'espressione "filmetto francese", pieno di un'infinità di commediole borghesi sterili e con una patina chic, che quasi sempre ritraggono gli struggimenti quotidiani di una classe agiata così impegnata a dimostrarsi open minded da rendere davvero arduo il processo d'empatia. In questa recensione di Selfie di famiglia, vedremo come come il nuovo film di Lisa Azuelos appartenga a quest'ultima tipologia, perciò se vi state chiedendo se si tratta di un nuovo "filmetto francese", la risposta è: ebbene sì.

Un spunto autobiografico che non basta

Un topos di questa tipologia di film francese è il divorzio. E più nello specifico in che modo due ex coniugi ancora attraenti vivano la fase di separazione, la rinnovata possibilità di avere un nuovo partner, la riacquisizione di vecchie dinamiche di corteggiamento ormai arrugginite, la gestione del rapporto con i figli sulla base di questo nuovo statuto personale. E proprio come L'amour flou - Come separarsi e restare amici, un altro filmetto francese recentemente uscito nelle sale italiane, anche in Selfie di famiglia lo spunto fondamentale deriva da accadimenti strettamente biografici della regista.

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Selfie di famiglia: Yvan Attal, Sandrine Kiberlain in una scena del film

Se però il film di Romane Bohringer e Philippe Rebbot riusciva stancamente a mantenersi a galla grazie all'espediente narrativo di partenza, e cioè che quella narrata era una riproposizione quasi in presa diretta della vera storia della famiglia, con tutti i veri protagonisti sullo schermo, in Selfie di famiglia l'appiglio al reale non basta. Non basta perché, semplicemente, se si sceglie di raccontare una storia molto ordinaria in modo ordinario, non c'è verso che ne possa uscire qualcosa di straordinario.

La trama del film, tra realtà e finzione

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Selfie di famiglia: Sandrine Kiberlain, Thaïs Alessandrin, Victor Belmondo in una scena del film

Hëloise (Sandrine Kiberlain) è un'indaffarata cinquantenne. Madre di tre figli e con un ristorante da gestire, ha raggiunto un movimentato equilibrio nella convivenza con la figlia minore Jade (Thaïs Alessandrin, vera figlia della regista), ma vede avvicinarsi il momento della solitudine, perché Jade è all'ultimo anno di liceo, e una lettera a inizio film ci dice che è stata accettata in un'università canadese (che è esattamente quello che è successo a Thaïs Alessandrin nella vita reale). Da quel momento Hëloise inizia ad assaporare gli eventi con il nostalgico gusto delle ultime volte, e anche la più stretta consuetudine sembra per lei assumere un rinnovato senso, quello di godersi gli ultimi scampoli di questa stabilità, prima di dover, di nuovo, ricominciare tutto da capo. Non che il concetto in sé non sia interessante o perda il suo potenziale di valore nel mostrare le piccole cose, tutt'altro, le cause vanno ricercate più che altro nell'incapacità di scendere a un dovuto grado di profondità da parte Lisa Azuelos, che ha anche sceneggiato il film.

Boyhood, la fonte di ispirazione

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Selfie di famiglia: un'immagine del film

L'ispirazione, l'altro film che è magistralmente riuscito a declinare questo tema in una chiave significativa e impattante, è evidente. Si tratta, per stessa ammissione della regista, di Boyhood, il capolavoro di Richard Linklater, che tra le (moltissime) altre cose mostrava anche l'addio di un figlio al nucleo materno, e che ha spinto Azuelos a pensare a questo progetto. Proprio in virtù di questo verrebbe da chiederle in che modo pensava di poter portare un discorso già così incredibilmente sviscerato nell'epopea Boyhood a un nuovo e stimolante punto.

Dalla Trilogia a Boyhood: il ritmo della vita nel cinema di Richard Linklater

Perché riproporre una tematica si può eccome, ma bisogna almeno avere l'ambizione di offrire un'angolatura diversa, altrimenti è difficile non interpretare il tutto come un venale sbrodolamento d'ego. In Selfie di famiglia di quest'ambizione non c'è traccia, non tanto nel risultato finale, che sarebbe anche accettabile (un film non riuscito può capitare a tutti), ma addirittura anche nelle intenzioni, ed è la sceneggiatura a sancirlo. E se un film brutto è passabile, un film inutile no.

Conclusioni

Per concludere queste recensione di Selfie di famiglia, ribadiamo come il nuovo film di Lisa Azuelos non riesca a tradurre lo spunto biografico della regista in un prodotto interessante anche per qualcuno che non sia lei. La storia narrata, quella di una madre che vede la sua figlia prediletta crescere e andare via di casa non è certo una novità, ma la totale assenza di spunti originali che possano fornire un inedito o quantomeno personale punto di vista non c’è, e ne decreta il fallimento.

Movieplayer.it
1.5/5

Perché ci piace

  • L’abilità di Azuelos in alcune scene di interni, specialmente la festa della protagonista.
  • L’eccellente prova attoriale di Sandrine Kiberlain.

Cosa non va

  • L’ordinarietà del racconto.
  • L’incapacità da parte di Azuelos di creare situazioni accattivanti per lo spettatore.