Se un albero cade in una foresta, ma nessuno si trova lì per sentirlo, fa rumore oppure crolla nel silenzio più totale?
Una domanda, sempre la stessa, apre ognuno degli otto episodi di Se un albero cade in una foresta, la serie thriller sudcoreana disponibile in streaming su Netflix. Quella domanda, detta ogni volta in voice over da uno diverso tra i protagonisti, proviene dalla teoria di Berkeley, un filosofo che volle mettere in discussione i principi della scienza e della materia: per lui gli oggetti esistevano solo se percepiti. È sulle linee sottili di questa teoria che si muove questa nuova storia che viaggia su linee narrative sorprendentemente intrecciate e che lavorano di profonde suggestioni, visive e sonore.
Due piani temporali... e spaziali?
Creata da Mo Wan-il e Son Ho-young senza un testo di partenza, la serie Netflix segue due linee temporali che vanno ad intersecarsi via via che gli episodi procedono. È estate e una donna misteriosa arriva insieme ad un bambino in una casa vacanze immersa nel verde con una piscina: il proprietario, vedovo con una figlia che vive in città a Seul, non sa ancora che quell'arrivo cambierà per sempre la sua vita. Intanto in un albergo con vista sul lago, un uomo vede arrivare un uomo misterioso solo per una notte, intanto che la moglie e il figlio lo aiutano a gestire l'attività. La struttura finisce al centro della cronaca a causa di un evento tragico che vi si verifica. Non c'è solo la loro storia ma anche un'ulteriore linea narrativa: quella di un'agente di polizia particolarmente intuitiva. Le sue indagini potrebbero portare nuovi elementi su un caso di tanti anni prima e far venire alla luce segreti inconfessabili. Anche i piani spaziali diventano personaggi e parte integrante del racconto, tanto da confondersi proprio come quelli cronologici, prima di riuscire ad iniziare a mettere insieme i pezzi del puzzle. Il montaggio infatti è uno degli elementi che spicca nella messa in scena del serial, contribuendo ad aumentare la tensione.
Una storia di suggestioni
C'è un po' di Psycho e un po' di Shining, e quindi Hitchock e Kubrick, con un pizzico di David Lynch e il suo Twin Peaks in Se un albero cade in una foresta - The Frog e in questo bosco che sembra racchiudere tutti i segreti del mondo, nei suoi fruscii e rumori, tra i suoi rami secolari e le sue foglie verdissime bagnate dalla rugiada. Piove infatti molto spesso nelle sequenze più avvincenti, come in tutti i thriller che si rispettino. Le location sono mozzafiato e la regia le sfrutta non solo con droni e riprese dall'alto ma soprattutto quando la macchina da presa si immerge in esse, in mezzo al pericolo, oppure nei grandi spazi delle camere d'albergo, in cui ogni inquadratura sembra studiata a tavolino grazie al lavoro di Mo Wan-il.
Anche la fotografia e la luce vengono utilizzate al fine di aumentare il più possibile la tensione durante la visione, così come la colonna sonora, che propone un tema musicale stridente che serve ad anticipare l'arrivo di qualcosa di terribile prima ancora che accada, quando la scena sembra tranquilla e serena. Non vi sveliamo altro sugli sviluppi narrativi perché non vogliamo rovinarvi la sorpresa e lasciare che scopriate il più possibile da soli ma vi possiamo dire che resterete sicuramente sorpresi soprattutto per l'inedito mix di dramma e thriller che non punta solamente sul secondo elemento. La chiave non è infatti il crimine in sé ma la psicologia che c'è dietro e soprattutto le conseguenze di un trauma che possono manifestarsi sulle persone e sulle loro famiglie, spesso distruggendole in mille pezzi dall'interno, come un parassita o un cancro che non si riesce a debellare.
Questione di tempo nella serie Netflix
Se un albero cade in una foresta si prende il proprio tempo per raccontare le sue due storie, non ha fretta di arrivare al dunque. I finali delle puntate contengono dei cliffhanger che portano a voler vedere quella successiva, spesso monografica con il punto di vista e la voce fuori campo di uno dei personaggi coinvolti, ma lo fanno senza premere sull'acceleratore arrivati al nocciolo. Anzi quel plot twist si può prevedere qualche sequenza prima ma la regia indugia, fermandosi sugli sguardi, i primi piani, i dettagli, i campi medi e piani americani dei protagonisti. Non manca la caratterizzazione sopra le righe eppure tagliente delle persone coinvolte, a partire dalla donna misteriosa, a metà strada tra la Stranger della serie di Harlan Coben e la Villanelle di Killing Eve.
C'è l'attrazione per l'abisso e per il delitto più efferato così come quella verso il cortocircuito psicologico che lo produce, lo crea. "Non diventi mai la rana, quella colpita da un sacco lanciato incautamente" dice ad un certo punto un personaggio ad un altro ed infatti il titolo internazionale della serie è The Frog raccontando quasi una parabola favolistica con una morale di fondo: le azioni hanno sempre delle conseguenze, anche quando nessuno sta guardando.
Conclusioni
Come scritto nella recensione, Se un albero cade in una foresta - The Frog si distingue tra le tante proposte coreane di genere su Netflix per il mix particolare di dramma e mystery, puntando soprattutto sulle conseguenze di un crimine piuttosto che sul fatto stesso. Prova ad indagare la mentalità criminale dietro un assassinio, gli spazi tra le righe del caso, l’intercapedine nel muro dell’indagine, l’umanità dei personaggi coinvolti. Proprio per questo potrebbe non essere apprezzata da tutti, ma vi chiediamo di provare a darle una chance: potreste rimanere piacevolmente sorpresi.
Perché ci piace
- Gli interpreti, mai eccessivi.
- La psicologia e la filosofia da cui parte il discorso.
- Le suggestioni visive che citano cinema e serialità di genere.
- Il montaggio, la regia e il tema musicale che acuiscono la tensione.
Cosa non va
- L’allungarsi dello sviluppo narrativo potrebbe infastidire qualcuno.
- Il prendersi il proprio tempo potrebbe spazientire gli spettatori più abituati ad un ritmo concitato del racconto.