Se fossi negli anni '40
Due sorelle agli antipodi per mentalità, approccio alla vita e aspetto fisico vivono la contraddittorietà della loro vita e le loro comuni mancanze in modo diametralmente opposto. Maggie (Cameron Diaz) è sexy, superficiale, incostante e narcisista. Inconcludente e disperata è una figura dalle limitate possibilità narrative, inquadrata com'è in uno stereotipo piatto e castrante. La sorella Rose (Toni Collette) non è da meno, sotto questo aspetto. E' poco attraente, fa l'avvocato, è severa e responsabile e sublima le sue carenze affettive nell'acquisto di scarpe, l'unico capo di abbigliamento che sente di non stuprare con la sua disgraziata fisicità. In comune hanno una matrigna-macchietta insopportabile ed un padre che le vuole bene ma che è causa di un dolore insanabile che investe la morte della loro madre e la scomparsa della nonna (Shirley MacLaine), ovvero il motore d'azione di questo In Her Shoes - Se fossi lei, tratto dal secondo e non indispensabile romanzo di Jennifer Weiner. A separarle d'improvviso, prima della comparsa della nonna Ella, è un uomo di successo e muscoli che Maggie ruba furiosamente per una notte all'incredula Rose, prima che le sue attenzioni ricadranno su un altro avvocato del suo studio.
Per quanto siamo lontano dai risultati di L.A. Confidential, Wonder Boys e 8 MIle, per citare solo gli ultimi tre film dell'ottimo regista americano, è indubbio che Curtis Hanson continui a passare al setaccio i generi classici del cinema americano, adottando in questa occasione archetipi e strutture della commedia romantica sofitisticata, per dedicarsi in realtà ad un melodramma di basso profilo, dai toni leggeri e soffusi. Se l'intenzione è più che buona, in periodi di saturazione audio-visiva, i risultati sono altalenanti, per un film tutto al femminile: mai spiacevole, ma troppo lungo e sbilanciato sotto il profilo dell'attenzione stilistica. Un eccesso di cerebralità domina infatti un pò tutta la pellicola, quasi ad indicarci i dubbi che Hanson nutre verso il plot.
Il regista non pare credere molto alla forza drammatica insita nelle storie delle due donne. Del dramma il suo film ha decisamente il registro formale, ma sotto il profilo narrativo, privilegia decisamente l'humor minimalista (garantito dai numerosi siparietti tra gli anziani della casa di Miami), piuttosto che l'analisi dei sentimenti repressi, delle incomprensioni e del non detto. In altre parole, Hanson decide di andare il più possibile sul sicuro, affidando il 50% dell' appeal della storia alle gambe sinuose e palestrate di una Cameron Diaz tutto sommato convincente (da notare infatti come la doppia voce narrante che caratterizza l'incipit del film ci presenta da subito l'onnipresenza schiacciante, quanto retorica dell'aspetto estetico, denotandone al solito il primo livello di analisi dei due personaggi), per concentrarsi a cuor leggero su una messa in scena classica ed essenziale, costruita su un montaggio soffice ed invisibile una fotografia sobria e un uso quanto mai coscenzioso del commento sonoro.
Se tutto questo, nel bene o nel male, finisce per scaldare abbastanza i cuori di chi, come il sottoscritto, non ha mai smesso di amare un certo modo old- fashioned di narrare le storie sul grande schermo è oltremodo chiaro che il plot - già intrinsicamente debole - è spesso soffocato e relegato a mero canovaccio narrativo per le voglie di cinema classico di Hanson, incerto però se prenderla in modo assoluto questa strada o se tenersi in bilico. In questa accidentata terra di nessuno sta in definitiva un film piacevole e poco più, diretto con mestiere e amore per il cinema da un regista capace di ben altre prove in passato, ingabbiato questa occasione in una strettoia a corto respiro, soffocato anche dagli eccessi conciliatori del caso.