Recensione Il vento fa il suo giro (2005)

Spietato come poche volte si è visto, il film spara a zero sul bigottismo e la mentalità combattiva della provincia del nord Italia, con particolare enfasi sulla tradizione e il retaggio di un paese nel quale ancora si parla l'occitano.

Scontro di culture

A Chersogno, piccolo villaggio sulle Alpi messo in ginocchio dall'emigrazione e dal poco turismo, arriva un formaggiaio francese con la sua famiglia. La novità è salutata con ottimismo calcolando anche che il ritorno di attività autoctone come la produzione di formaggio potrebbe portare nuovi soldi e nuova attenzione sul piccolo paese. L'integrazione della giovane famiglia di costumi più nordici e liberi con il piccolo paese, conservatore e un po' bigotto non è delle più semplici: dissapori, antipatie, pregiudizi e un po' di diffidenza verso gli stranieri inaspriscono la situazione e dopo qualche incidente comincia una vera ostilità manifesta nei confronti della famiglia francese e della sua attività.

Tutto girato in digitale con uno stile a tratti anche un po' televisivo,Il Vento Fa Il Suo Giro mostra con dovizia di particolari e con molto realismo il difficile processo di integrazione in una comunità antica sia dal punto di vista culturale che dell'età media di un elemento esterno, i francesi, meno comunitari e più individualisti, legati ad un'altra cultura ed altri costumi.
Se nella prima parte l'azione stenta a decollare per l'esigenza di mostrare la situazione e disegnare i caratteri nella seconda l'escalation di eventi che portano alla guerra aperta di una certa fazione del paese nei confronti dei nuovi arrivati tocca vette molto coinvolgenti e sincere.

Giorgio Diritti sceglie una messa in scena molto minimalista e fa del casting una delle sue armi più affilate. Nessun grande attore e molte facce autentiche, più qualche ruolo veramente azzeccato, come la moglie francese, leggermente più carina e intrigante della media delle donne del luogo (come si conviene ad una donna fatale di un paesino sulle Alpi), o il personaggio del sindaco, leggermente più istruito e più "di mondo" del resto dei paesani.
Spietato come poche volte si è visto il film spara a zero sul bigottismo e la mentalità piccola e combattiva della provincia del nord Italia, con particolare enfasi sulla tradizione e il retaggio di un paese, Chersogno, nel quale ancora si parla l'occitano. La condivisione di questa lingua quasi morta è infatti il simbolo chiaro della chiusura di una comunità vecchia e destinata ad estinguersi come la sua lingua perchè incapace di evolversi.
Nella migliore tradizione del cinema europeo non c'è la minima spettacolarizzazione (se non nel finale che risolve decisamente con un eccesso di facile simbolismo il conflitto tra le due culture) e l'azione è assolutamente funzionale ai personaggi, alle relazioni che intrecciano e al conflitto che sono in grado di sviluppare.