Schumacher accompagna a Roma il suo Fantasma

Il regista newyorkese, in conferenza stampa, ha soddisfatto le curiosità dei cronisti sul nuovo musical basato sulla pièce di Andrew Lloyd Webber.

Joel Schumacher arriva in Italia per presentare il suo ambizioso progetto, la trasposizione cinematografica del famoso musical di Andrew Lloyd Webber, Il fantasma dell'Opera, tratto dal libro di Gaston Leroux e diventato un successo planetario che ha conquistato il cuore di 80 milioni di persone. Una collaborazione, quella tra Schumacher e Lloyd Webber, durata 15 anni e che, dopo innumerevoli rinvii, si è finalmente concretizzata in un'opera sfarzosa che ha soddisfatto entrambi e che è pronta ora per emozionare vecchi e nuovi spettatori di una storia senza tempo.

Il suo film può essere considerato una declinazione del tema della bella e la bestia?

Joel Schumacher: Purtroppo viviamo in un periodo in cui l'aspetto esteriore sembra essere più importante di ciò che abbiamo dentro. Siamo ancora nell'epoca dell'oscurantismo, ma col botulino e il collagene. La ragione per la quale la gente si impegna a migliorare moltissimo l'aspetto esteriore è perché dentro non ci sentiamo bene con noi stessi. Quando vediamo un film non ci identifichiamo con l'oggetto del desiderio ma col relitto, con la persona che rimane ai margini, con colui che desidera. Non so perché, sin da tempo immemorabile, siamo affascinati da questa storia della Bella e la Bestia. Sono convinto che noi non ci identifichiamo con la Bella, ma con la Bestia e credo che il Fantasma sia sempre stato, da cento anni a questa parte, una rappresentazione di noi stessi, delle cose di noi che riteniamo brutte e che crediamo non possano essere amate.

Quale caratteristica della storia potrà attrarre maggiormente il pubblico?

E' un film dove c'è tanta musica, set fantastici e costumi sensazionali, ma la vera essenza è questa tragica storia d'amore, questo triangolo tra tre giovani. La ragione per cui ho voluto che Christine fosse così giovane è perché il rapporto con Raoul doveva rappresentare il primo amore romantico, mentre quello col fantasma il risveglio di un amore più appassionato, oscuro, sensuale, ma anche inquietante e per certi sensi più distruttivo. Credo che se lui fosse andato oltre, non fosse diventato così violento, forse quest'amore sarebbe potuto diventare reale. Il motivo che mi ha spinto a fare questo film è il sacrificio che queste tre persone sono costrette a fare.

Il suo film è stato interpretato come fortemente erotico. E' d'accordo?

Credo che nel mio film ci sia dell'erotismo, ma in un senso romantico. Deriva dall'attrazione che i personaggi provano l'uno nei confronti dell'altro. Dal momento che Andrew Lloyd Webber mi ha chiesto di dirigere questo film pensavo sapesse che nel mio modo di sentire c'è sempre sensualità, sessualità.

Nel suo film si alternano scene a colori (il passato) con scene in bianco e nero (il presente). Come mai questa scelta?

Nelle parti in bianco e nero volevo ritrarre la Parigi del 1919, una Parigi non romantica e non musicale. La Parigi che vediamo è una Parigi sporca, gli abiti delle donne sono diventati più pratici e il teatro non è che un guscio bruciato. Nelle parti a colori ho cercato di portarvi all'interno di questa fantasia, di questa musica, del teatro del 1870. Gli anni 70 dell'Ottocento sono stati un periodo molto bello.

Quali sono stati i piaceri e le difficoltà nel dirigere un film musicale?

Cerco sempre di fare cose diverse quando dirigo un film. Questo è stato il primo musical che ho diretto, e forse resterà anche l'unico, quindi ero molto nervoso e apprensivo. Un film di questo genere ha la capacità di attrarre tantissimi talenti: scenografi, costumisti, direttori della fotografia. La cosa più eccitante è il vedere concretizzarsi tutto questo. Le scene più difficili non sono state quelle con tanta gente, ma quella d'intimità tra questi tre giovani. Essendo questa una scena fondamentale era particolarmente delicata perché i protagonisti dovevano esprimere delle forti emozioni oltre a cantare. E' stata la scena più difficile, ma anche quella che mi ha dato più soddisfazione.

Che rapporto ha con Hollywood che è a tutti gli effetti un'industria cinematografica?

Hollywood è un business, è quando ci hai a che fare è come essere sul filo di un rasoio: da una parte c'è l'arte, dall'altra l'aspetto commerciale. Devi camminare lungo questa lama facendo sì che quello che fai sia sufficientemente commerciale perché la gente lo vada a vedere e sufficientemente artistico per poter dormire sonni tranquilli la notte.

Qual è stato il suo rapporto con Andrew Lloyd Webber durante la realizzazione del film?

Andrew Lloyd Webber mi aveva chiesto di fare un film dal suo più famoso lavoro nel 1988, dopo aver visto il mio film Ragazzi perduti. Abbiamo preparato il film e ci accingevamo a girarlo nel 1990. Per ragioni di tipo professionale e personale di Webber (il divorzio dall'interprete femminile del Fantasma, Sarah Brightman, ndr) fu cancellata l'idea, ma siamo rimasti amici in questi sedici anni. Nel 2002 sua moglie riuscì a persuadermi a fare questo film insieme. Ho detto ad Andrew che ero disposto a farlo, ma analizzando la storia ho chiesto che i protagonisti fossero molto giovani e preferivo come attori degli emeriti sconosciuti. Lui mi ha risposto che potevo scegliere chi volevo, ma ad un patto: dovevano essere gli attori stessi a cantare. Così il film è stato realizzato. Eravamo come due ragazzini che facevano il loro film ed essendo amici da sedici anni avevamo molto rispetto l'uno per l'altro.

Cosa ci può dire dei suoi prossimi lavori?

Sono in procinto di girare due noir, uno con Colin Farrell, l'altro con Monica Bellucci. Quest'ultimo si chiamerà Centricity, sarà una produzione indipendente e vedrà la Bellucci impegnata nel ruolo di una psichiatra.