Santa Lucia, protettrice della vista; Santa Lucia, quartiere di Napoli, il più decantato nei brani di coloro che, emigrati, ritrovano nella musica un ritorno a casa. Sacro e profano, occhi che brancolano nel buio, e corpi che si muovono nello spazio di un ricordo: una duplice co-esistenza racchiusa tutta lì, in un nome e un aggettivo: Santa Lucia.
Come sottolineeremo in questa recensione di Santa Lucia, nelle mani del regista Marco Chiappetta la cecità si fa ponte diretto con una geografia interna stabilita dalla forza della memoria. Il ricordo a casa non è solo un ritrovato abbraccio con i propri cari, lasciati per decenni nel buio della lontananza, ma anche e soprattutto con il se stesso del passato. Una congiunzione compiutasi all'ombra, in quel nero di occhi che non vedono, ma ricordano. E così, la figura della Santa Lucia cristiana, protettrice di una vista che non c'è più, e quella urbana di un quartiere in cui ritornare dopo anni di auto-esilio, sono due metà di uno stesso organo cardiaco che batte all'unisono, al ritmo di passi che riprendono il proprio cammino in spazi domestici e strade cittadine solo apparentemente dimenticati, e mani che toccano alla ricerca di un oggetto, un dettaglio che riporti alla mente visi, sguardi, pronti a sostituirsi a macchie informe e spettrali.
SANTA LUCIA: LA TRAMA
Dopo quarant'anni passati a Buenos Aires, alla notizia della morte della madre, Roberto fa ritorno nel quartiere napoletano di Santa Lucia in cui è cresciuto. Scrittore di successo, e insofferente alle restrizioni di un quartiere che gli andava stretto, Roberto non può comunque apprezzare la bellezza del suo paese natale. L'uomo adesso è non vedente e ad accompagnarlo nei luoghi in cui sono cresciuti insieme è il fratello Lorenzo che dalla Campania non si è mai mosso. Il fratello scrittore conserva però un segreto che sta alla base del suo allontanamento e che ora Lorenzo vorrebbe scoprire.
OSSERVARE CON GLI OCCHI DEL PASSATO
Per chi non vede non esistono soggettive, ma immagini mentali, accumulI di disegni, colori, macchie e linee inconsistenti. Per chi non vede il mondo lo si osserva con gli occhi del passato, con la visione del ricordo. Giocando tra l'inconsistenza del presente, e una corporeità di un passato fatto di bambini, visi di amori perduti, e sguardi materni nascosti nel buio della mente, Chiappetta compie un viaggio tra un oggi che vive nello spazio di ieri, e viceversa. Un andirivieni cronologico da attuarsi con la forza della visione, quella privata dalla cecità, e quella recuperata con la forza della memoria. Sono associazioni mentali, barlumi di un passato recuperato nella forma di eventi e sprazzi mnemonici a volte non voluti. Sono sprazzi che compaiono per mezzo di un oggetto toccato, o una parola proferita, che il regista restituisce con estrema eleganza e perfetta armonia rispetto a quanto precede e segue tali flashback. "A volte è meglio immaginare il mondo che vederlo come è", afferma Roberto, e nel microuniverso interiore dell'uomo quella immaginata è un'infanzia ridottasi a ricordo; il ricordo di una Napoli svestita della sua attualità, per abbigliarsi del vestito di ieri. Un'istantanea immersa nel liquido mnemonico di una mappa cittadina ricostruita tracciandone i contorni per come la si era conosciuta nel passato. Ed è recuperando quei confini lasciati indietro, in nome di una nuova vita al di là dell'Oceano, che Chiappetta stabilisce le fondamenta della propria narrazione, in un braccio di ferro continuo tra chi rimane e chi ritorna, senza forse essersene andato mai.
TRAGHETTATORI DI RICORDI IN UN OCEANO DI DUALITÀ
In Santa Lucia brucia ardentemente un eterno gioco duale che prende e innesta linfa vitale a ogni elemento della narrazione. L'antitesi fraterna tra un Roberto impossibilitato a riassaporare la magnificenza della propria città ritrovata con la forza dello sguardo, e un Lorenzo assuefatto della propria quotidianità rimanendo immobile e ciecato della sua bellezza, è un conflitto latente e destinato a esacerbare la lotta interiore del protagonista una volta rimesso piede a Napoli. Burattino e al contempo burattinaio di questo gioco temporale, Roberto si affida alla performance di un Renato Carpentieri limitato nelle espressioni, ma profondamente introspettivo in ogni minimo movimento, o impercettibile sguardo. Se gli occhi non vedono, le parole scorrono, e Carpentieri si fa perfetto traghettatore di mille battute, restituite con fermezza e un naturalismo disarmante. Il suo Roberto sprigiona un'allure inesorabile, un'attrazione verso cui nemmeno la cinepresa di Chiappetta può sottrarsi, lasciandosi guidare verso passaggi inesplorati, luoghi tanto familiari quanto sconosciuti. Contenitore di un mondo interiore tutto da scoprire, passo dopo passo Carpentieri assimila e carpisce ogni sentimento e fragilità del suo Roberto, restituendolo con una galleria gestuale convincente e perfettamente adattabile a chi, nato vedente, ha dovuto fare a meno della bellezza dello sguardo per limitarsi alla potenza del tocco fisico, o della forza del ricordo, per imparare a guardare con occhi nuovi il proprio presente.
SVESTIRSI DI AMBIZIONE PER VIVERE DI SEMPLICITÀ
Proprio come la santa da cui prende in prestito il proprio titolo, anche il film di Chiappetta si spoglia di ricchezza e ambizione per vestirsi di umile semplicità. Una semplicità tanto di racconto, quanto di ripresa. Nessun volo icarico, o estremizzazione registica da parte del giovane autore; il tocco di Chiappetta si immerge nelle acque di un Neorealismo contemporaneo, costruendo il proprio campo visivo confluendo la propria attenzione verso una componente umana mai retorica, ma profondamente sfaccettata e fragile. Posti al centro dell'inquadratura, o ai lati della cornice, i due fratelli anche quando empaticamente lontani, sono adesso riuniti dalla forza della cinepresa. Sempre insieme, mai più separati, vagano tra le vie di una Napoli cinerea e ombrosa nello spazio del presente, per illuminarsi nei cassetti del passato. Una composizione, quella compiuta dal regista, che attinge a piene mani nel giacimento aureo della sfera teatrale, la stessa che modella e influenza la potenza di dialoghi sempre in primo piano e perfettamente restituiti con la profondità vocale dei due protagonisti. Le parole sono portatori di immagini, specchi verbali riflettenti eventi perduti; sono colonne portanti di quadri visivi che rimangono, mentre la vista si perde, immergendosi in un mare che ha il proprio odore, l'odore di un passato ritrovato, di un abbraccio materno recuperato e un rapporto fraterno ristabilito, grazie alla potenza della propria immaginazione, in Lorenzo e Roberto le parole si fanno adesso quasi tangibili. Una trasformazione chimica che Chiappetta traduce con fare sicuro, sebbene non sempre impeccabile. Nella sua semplicità Santa Lucia non ha paura infatti di tradire il ruolo di esordiente del suo regista; una rivelazione da ritrovarsi soprattutto in certe indulgenze narrative, e in continui tentativi di rendere visibili dei processi onirici, che finiscono per frenare la fluidità del racconto, scadendo in una certa meccanosità di sceneggiatura.
Ciononostante, Santa Lucia si eleva a dolce e commovente manifesto del ritorno a casa, alla potenza immaginifica dello sguardo interiore che si sostituisce - fino a prevaricare - quello fisico di occhi che non funzionano più, mentre il cuore continua a battere e i ricordi a riaffiorare.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Santa Lucia sottolineando come il film di esordio di Marco Chiappetta, per quanto ingenuo e macchinoso in certi punti, riveli una poesia di fondo grazie alla quale la potenza del ricordo compensa fino a sostituirsi alla cecità dello sguardo.
Un ritorno a casa, quello del protagonista, che tra amori perduti, e legami ritrovati, si eleva da racconto intimo a manifesto universale delle fragilità umane.
Perché ci piace
- La performance di Renato Carpentieri.
- La forza del ricordo che riaffiora attraverso un montaggio poetico e mai banale.
- La regia semplice di Chiappetta.
- L’impianto teatrale.
Cosa non va
- Una certa ingenua meccanicità di sceneggiatura dovuta all’inesperienza del regista.
- Certe scene di stampo oniriche non sempre fluide.