Ispirato a fatti realmente accaduti, Saint Omer, in sala dall'otto dicembre, racconta la storia durissima di una giovane madre processata per l'omicidio della figlia di soli 15 mesi. A scrivere e dirigere è Alice Diop, documentarista al primo lungometraggio di finzione.
Premiato alla 79esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia con il Gran premio della giuria e il Premio Venezia opera prima "Luigi De Laurentiis", Saint Omer vede come protagoniste Laurence Coly (Guslagie Malanda), immigrata senegalese che lasciato la figlia su una spiaggia perché venisse portata via dalla risacca, e Rama (Kayijge Kagame), scrittrice che segue il suo processo per poter raccontare questa vicenda come una sorta di moderna tragedia greca, una nuova Medea. Rama però è incinta e presto si trova emotivamente molto coinvolta.
Dopo Venezia 79, la regista Alice Diop è arrivata a Roma per parlare del suo film: "Per me era importante inquadrare Laurence a lungo: ho usato il piano sequenza in modo politico. Un personaggio come lei viene rappresentato pochissimo: una donna nera misteriosa, inquietante. Finalmente ho potuto offrirlo allo spettatore: inquadrandola così a lungo è come se fossi entrata nella psiche di una donna nera".
Saint Omer: intervista ad Alice Diop
Saint Omer, la recensione: il teatro della colpa
Saint Omer e i personaggi femminili sgradevoli
Non è un mistero che chi produce film ha sempre paura quando il protagonista è un personaggio per cui il pubblico prova difficilmente empatia. La preoccupazione raddoppia se la protagonista sgradevole è una donna. Alice Diop ha combattuto per questo: "È stato un elemento di discussione fin dagli inizi. Nel mio film le protagoniste inquietanti sono due! Anche Rame è così: non è un personaggio che seduce il pubblico. Mi è stato detto che non è troppo simpatica e di renderla più morbida. Io invece volevo che creassero una certa distanza: per smontare gli stereotipi sui personaggi femminili, e sulle donne in generale, che spesso si vogliono per forza accoglienti".