In un tempo dove tutto è iperconnesso, l'idea di uno spazio sicuro è pura utopia. Questo non inibisce gli abitanti di Safe, gente che vive in una pacifica comunità protetta dai pericoli del resto del mondo. Famigliole felici, barbecue condivisi tra grandi sorrisi, bambini che giocano spensierati. Il tutto ben difeso da un grande cancello da cui tutti sanno chi è entrato e chi è uscito. Quello che appare con un piccolo Eden incontaminato, però, si mostra presto per quello che è davvero: un bel teatrino, una mera illusione. Sì, perché tra le mura di Safe si celano frustrazioni e malesseri, serpeggiano traumi e segreti. È questa l'affascinante ambientazione di Safe, nuova serie Netflix presentata in anteprima a Canneseries. Perno centrale della storia è il chirurgo Tom, padre vedovo e apprensivo, travolto dalla misteriosa scomparsa di sua figlia. L'evento dà il via ad un effetto domino che svela, poco alla volta, il marcio nascosto dentro tante famiglie del posto.
Diviso in otto episodi e scritto dal celebre autore di best seller Harlan Coben, Safe è affidato al carisma di Michael C. Hall, arrivato a Cannes per svelare i retroscena di una serie che, stando a quanto abbiamo visto, ha tutti gli ingredienti per appassionare grazie ad una narrazione frammentata, piena di flashback e ricca di scheletri nell'armadio. Una specie di Big Little Lies - Piccole grandi bugie in salsa britannica in cui si svela il marcio dietro una patinata facciata di ipocrita serenità. Giunti a Cannes per presentare Safe, Michael C. Hall, Harlen Coben e la produttrice Nicola Shindler, hanno raccontato il loro approccio ad un prodotto pronto a destabilizzare ogni rassicurazione. Fuori e dentro qualsiasi cancello.
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Fuori dalla comfort zone
L'enorme successo di una serie tv è come un boomerang. Ti esalta, ti porta lontano e poi torna indietro sotto forma di personaggi pesanti, ingombranti, difficili da scrollarsi di dosso. È il caso del carismatico Michael C. Hall che per molti rimarrà sempre e soltanto l'iconico protagonista di Dexter. Nei suoi occhi è facile ritrovare la follia di Morgan, nei suoi atteggiamenti pacati diventa spontaneo vederci qualcosa di inquietante e imprevedibile. Consapevole di questa percezione da parte del pubblico, il buon Michael ci scherza su e taglia corto sull'argomento. Niente nostalgia. Hall ha voglia di soffermarsi sul suo futuro, su qualcosa di nuovo. Ha voglia di parlare di Safe, una serie che lo ha portato lontano dalla sua comfort zone americana: "Lavorare a questa serie è stata una sfida divertente. Se ci pensate, ho fatto il percorso inverso rispetto a quello di molti attori australiani o inglesi che vengono in America per imparare a parlare con il nostro accento. Per una volta è successo il contrario. Mi piaceva l'idea di ribaltare questa abitudine, e così ecco un americano costretto a parlare come un inglese. Anche se ammetto che il mio lato puramente americano ogni tanto veniva fuori, e io ho dovuto tenerlo a bada. Come riesco a partecipare a serie di ottima qualità? Beh, non esiste un metodo, non esistono scelte sagge o delle linee guida.
Sono stato semplicemente molto fortunato ad arrivare al momento giusto nel posto giusto. In quel periodo ero a Londra, stavo lavorando in teatro con Lazarus. Mi arriva questo meraviglioso script ed ecco finalmente una buona scusa per non tornare negli Stati Uniti. Devo dire che la sceneggiatura era fantastica, con una storia trascinante, che mi ha catturato e incuriosito. Volevo sapere a tutti costi come procedesse la storia e come si evolvessero i personaggi. Mi ha catturato anche perché in poche pagine era subito molto chiaro il senso di questa serie. Abitiamo dentro una realtà che alimenta di continuo la nostra paura dell'altro e il timore di quello che potrebbe esserci fuori dai nostri contesti più familiari. Talvolta i media giocano con questo, sollevando preoccupazione sulla sicurezza talvolta eccessivi. Ecco, credo che alla fine Safe sia soprattutto con un complesso thriller corale. Uno studio psicologico di una società analizzata attraverso la lente della famiglia".
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Una storia universale
Studio psicologico, ma anche sociologico. Safe ha tutte le caratteristiche di un grande gioco di società, o meglio, di un vero e proprio esperimento di massa. Per questo l'approccio degli autori è stato più trasversale possibile. Sul tema Nicola Shindler ha detto: "Safe parla di una fitta rete di relazioni all'interno di una comunità chiusa dentro se stessa. Si tratta di qualcosa di molto iconico che sfiora argomenti universali, per questo volevamo creare una serie di ampio respiro, globale, che non sembrasse troppo specifica e riconoscibile. Safe, insomma, non doveva sembrare la tipica cittadina britannica. Così abbiamo lavorato tantissimo sia nella scelta delle ambientazioni che nel look dei personaggi per restituire allo spettatore qualcosa di estremamente generico". Al suo fianco Harlen Coben, giunto sulla Croisette anche in veste di presidente di giuria di Canneseries, si collega a quanto detto dalla stimata collega: "Sì, abbiamo volutamente abolito ogni forma di stereotipo legato alla Gran Bretagna. Niente pioggia, niente nebbia, niente colori freddi. Abbiamo optato per una gamma di colori caldi in modo da distaccarci da quel solito immaginario inglese. Dal punto di vista narrativo Safe è una storia di mistero e di tradimento, dove i segreti e le bugie giocano un ruolo fondamentale.
È stata una serie che mi ha involontariamente spinto verso un territorio nuovo per me. Questo perché non mi considero uno scrittore politico, ma quando parli di muri alzati, di confini e di persone che si allontanano da altre è inevitabile diventare politici. Le differenze tra la scrittura di un romanzo e quella di una serie? Un libro è scritto in totale autonomia, mentre la serie è un lavoro corale in cui nessuno impone la sua voce. Anzi, è un processo di negoziazione collettiva continua. Quello che non dovremmo mai dimenticarci, comunque, è che lo spettatore va intrattenuto e divertito con una buona storia. Le buone storie sono la base di tutto". Come in un flusso continuo e incessante di intesa, Shindler coglie la palla al balzo e chiude l'incontro dicendo: "Per qualsiasi buon produttore l'affetto nei confronti di una storia è la base di tutto. Chi fa quello che facciamo noi, non lo fa tanto perché ama il mestiere in quanto tale, ma perché ama una storia, crede in una storia e fa di tutto per farla vedere al pubblico". Un pubblico che potrebbe persino vedere in Michael C. Hall un padre di famiglia e non un folle psicopatico. Forse.