Sfide e rivalità: sembra essere un po' questa, negli ultimi anni, la costante del cinema di Ron Howard. Il regista americano, infatti, che aveva già raccontato, in Frost/Nixon - Il duello, lo scontro tra un giornalista e il più discusso presidente della storia americana, prende ora di petto il mondo della Formula 1 in questo Rush: narrando, con dovizia di particolari, quell'indimenticabile (nel bene e nel male) mondiale del 1976 che vide esplodere la rivalità tra Niki Lauda e James Hunt, campioni con caratteri e modi di correre diametralmente opposti. A dare volto, corpo ed anima a questi iconici personaggi, rispettivamente Daniel Bruhl e Chris Hemsworth: cuore di un blockbuster che delinea con precisione un determinato e irripetibile periodo dell'automobilismo, mettendone in evidenza glorie e miserie, all'insegna di vite vissute sempre sul filo del rasoio.
Nell'incontro stampa di presentazione del film a Roma, in uscita nelle nostre sale il prossimo 19 settembre, abbiamo potuto ascoltare il regista e i due protagonisti, insieme all'italiano Pierfrancesco Favino (che dà il volto al pilota svizzero Clay Regazzoni) e all'attrice romeno-tedesca Alexandra Maria Lara, che nel film veste i panni della moglie di Lauda, Marlene.
Una delle caratteristiche del film è la rivalità tra Lauda e Hunt: quella della rivalità è un po' una costante dei suoi film, la ritroviamo anche in Frost/Nixon e in Cinderella Man - Una ragione per lottare. Questa, per lei, è una caratteristica che dà senso a un racconto?
Ron Howard: Mi piacciono molto i personaggi che vengono messi alla prova in situazioni insolite, estreme: che siano il matematico, l'astronauta o il pilota di Formula 1. Amo le persone che fanno cose estreme, che arrivano agli estremi per mettere alla prova se stessi. Nonostante questo loro essere borderline, però, il pubblico trova in loro qualcosa che è simile alla loro vita.
Ron Howard: Il modo in cui ci rapportiamo alla morte è una delle cose che ci definiscono come esseri umani. Ognuno si relaziona alla morte a modo suo, ed è sempre una cosa molto interessante, per me, esplorare questa caratteristica. Entrambi i personaggi hanno un punto di vista molto particolare, che tiene in gran conto il rischio di poter morire: è un'ottica condivisa da molti piloti di Formula 1 negli anni '70. Proprio Lauda, in particolare, esprimeva questo senso particolare della morte.
Daniel Bruhl: Niki era molto calcolatore, a differenza di Hunt: lui considerava la possibilità di morire al 20%, e non accettava che questa percentuale fosse maggiore. In questo senso era un pioniere, simile ai piloti di Formula 1 di oggi. Lui aveva una particolare percezione, riusciva a sentire se la situazione era giusta o no: se capiva che non c'erano le condizioni, si rifiutava di correre. E' ciò che succede nella corsa finale in Giappone, in cui non si rivela disposto a mettere a repentaglio la sua vita e il rapporto con Marlene. Se si pensa alla Formula 1 di oggi, è grazie a lui se la sicurezza è migliorata così tanto: dopo l'incidente tragico di Senna, infatti, eventi mortali non si sono praticamente più verificati.
Chris Hemsworth, il suo personaggio vive sempre tutto un po' all'eccesso, in un perenne stato borderline, sia positivo che negativo. Che rapporto ha con personaggi e situazioni di questo tipo?
Chris Hemsworth: Diversamente da Lauda, che affrontava il concetto di morte da matematico, James ha un approccio molto più istintivo, viscerale. Ciò è continuo e costante in tutta la sua vita, a prescindere dalle gare: se lui aveva un bisogno, faceva sempre ciò che sentiva di fare, spingendosi molto agli estremi. Anche lui viveva la minaccia della morte, ma mentre Niki la esorcizzava tramite il calcolo, lui la evitava attraverso una serie di altre attività, come il bere o l'andare con le donne. Negli anni '70 i piloti morivano sulle piste molto più frequentemente: questo costringeva persone come Lauda e Hunt a guardare sempre al momento immediato, a considerare innanzitutto il presente, proprio perché nel presente c'era il rischio di morire. Oggi siamo disabituati a questo, tendiamo piuttosto a preoccuparci per il futuro, oppure a guardare al passato: abbiamo perso il rapporto con il presente.
Alexandra Maria Lara, una curiosità: è vero che il confronto con Ron Howard è avvenuto su Skype. mentre lei era in cucina impegnata a pelare cipolle?Alexandra Maria Lara: La prima volta che ho incontrato Ron è stato davvero via Skype, ma in una situazione diversa e non legata al film. Lui mi era rimasto come contatto nella rubrica, e così, in un momento inaspettato, mi chiamò per propormi il ruolo. E' vero, in quel momento stavo pelando una cipolla e, quando lui chiamò, mi lacrimavano gli occhi e non ero al meglio. Ero un po' preoccupata, per questo! La volta successiva che ci siamo sentiti, invece, io ero a Berlino e lui in America: allora mi ero truccata e sistemata, perché ci tenevo molto a interpretare questo ruolo.
Howard, cosa può dirci del rapporto con Peter Morgan? Chi dei due ha avuto l'idea del film? La sceneggiatura per lei era un testo inviolabile, o l'ha adattata nel corso della lavorazione?
Io e Peter avevamo già lavorato insieme all'adattamento di Frost/Nixon, e da lì siamo diventati amici. Lui ha scoperto questa storia e me ne ha parlato: ci è subito piaciuta, era una combinazione di personaggi unici, affascinanti. Abbiamo lavorato insieme alla sceneggiatura, cercando di applicarvi le ricerche che avevamo fatto sui due personaggi. Era un testo in costante divenire, che si sviluppava mano a mano: lui era sempre disponibile a integrare nella storia nuove idee creative.
Una domanda per i due interpreti: eravate già appassionati di Formula 1, o avete dovuto documentarvi su questo mondo?
Chris Hemsworth: Non sapevo molto della Formula 1, prima di fare il film; quando mi sono lanciato in questo progetto ho fatto una serie di ricerche, che erano limitate però agli anni '70. Al di fuori di quel periodo, le mie conoscenze restano molto limitate. Ho avuto però modo di apprezzare e rispettare questo sport; non è che da ragazzino abbia volutamente evitato di seguirlo, ma semplicemente non ne ho avuto l'occasione. Mio padre, per esempio, andava in moto: quello è in qualche modo un mondo parallelo a questo.
Daniel Bruhl: Io invece conoscevo già bene questo sport. Ho iniziato ad annoiarmi, però, quando Schumacher ha iniziato a vincere il mondiale ad ogni stagione: allora sono passato al calcio e al tennis. Mi sono interessato di nuovo alla Formula 1, però, dopo aver visto un documentario su Senna; poi ho letto il copione propostomi per questo film, e allora l'interesse è salito ulteriormente. Però non sono proprio un esperto, quindi per favore non fatemi altre domande a riguardo!
Pierfrancesco Favino: Io credo che lo stesso Regazzoni si sentisse lui più vicino a Hunt che a Lauda: lui non era proprio il modello di pilota disciplinato che Lauda incarnava. Forse proprio per questo era più affascinante, per la sua guasconaggine: ma ha dimostrato anche una grande generosità, specie dopo l'incidente che lo ha colpito. Io sono più regolato, in genere, ma credo di condividere proprio quella generosità. Un altro punto che mi accomuna a Clay è il fatto di non avere invidie: specie dove riconosco che c'è una qualità.
Ron Howard: Quando ho pensato al personaggio di Regazzoni, subito ho avuto in mente una sola persona, non ho avuto il minimo dubbio. Sono rimasto molto lusingato dal fatto che Pierfrancesco abbia accettato: posso assicurarvi che c'è molto più Regazzoni nel film che nello script, lui è riuscito ad aggiungere molto di suo al film.