Il logorio delle trivelle che scavano, estraggono, distruggono per fare spazio a nuove costruzioni, le 'madri del sabato' che dal 1995 si incontrano instancabili ogni sacrosanta settimana a piazza Galatasaray per protestare e chiedere conto dei propri figli scomparsi dopo l'ondata di arresti per mano della polizia, il bofonchiare delle navi sul Bosforo, il rosso dell'alba e dei tramonti su quel tratto di mare dai risvolti mitologici, dove gli opposti si incontrano in una eterna sospensione del presente e in lontananza il richiamo alla preghiera dei muezzin.
È una città mutante la Istanbul in cui Ferzan Ozpetek torna venti anni dopo Il bagno turco del 1996, una metropoli immersa in una tensione che non si vede ma certamente si sente. Rosso Istanbul, tratto dal suo omonimo romanzo del 2013, riporta il regista turco nella propria città natale ed "è il suo omaggio a Istanbul e ai suoi valori", racconta uno degli interpreti, Mehmet Günsür, durante la presentazione del film alla stampa: "ogni personaggio ha un pezzo di Ferzan". Il ritorno in un Paese lasciato 41 anni fa e oggetto di mutamenti rapidi e complessi, alla ricerca di radici, ricordi, frammenti a patto che al passato ci si rivolga con occhio vigile seppur malinconico, perché "chi guarda troppo al passato rischia di non vedere il presente".
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Ritorno alla origini
Con Rosso Istanbul torni in Turchia per la prima volta venti anni dopo il tuo esordio. È stato anche un modo per ritrovare le tue radici?
In tutti i miei film c'è una casa e qui c'è casa mia, molte scene le abbiamo girate lì. Ho visto il film tre giorni fa e mi ha fatto molto effetto la scena del trasloco perché mi ha ricordato di quando a 8 anni ho dovuto davvero lasciare la casa in cui vivevo con la mia famiglia per trasferirci in un appartamento: c'erano oggetti coperti con lenzuola bianche ovunque e c'era un antiquario venuto a comprare dei mobili che non avremmo potuto portare con noi. In Rosso Istanbul c'è molto di me e della mia infanzia, ad esempio il Bosforo: ho passato la mia adolescenza a qualche centinaio di metri da lì e spesso insieme ai miei amici abbiamo provato ad attraversarlo a nuoto, ma dopo cinque metri tornavo sempre indietro. Ho voluto raccontare una Turchia laica, quella che conosco di più; non so per quanto tempo i protagonisti della storia rimarranno così come vengono descritti in quel momento. L'Istanbul che vedete è quella del 13 maggio 2016, cambierà e non per i nuovi grattacieli ma nell'umore delle persone; è una data per me molto significativa perché nel 1996, esattamente venti anni prima, giravo il mio esordio Il bagno turco.
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Oggi dopo gli ultimi avvenimenti come il colpo di Stato, scriveresti un film diverso?
Se oggi vai a Istanbul non sentirai nulla di ciò che arriva dai tg o dalla tv, ma avvertirai nell'aria un'atmosfera di sospensione che è quello che ho cercato di portare nel film.
Ci tenevo molto al sentimento delle persone e a rendere la sensazione di non sapere cosa succederà, perciò ho inserito alcuni elementi fondamentali per restituire quella Istanbul così sospesa: ci sono le madri del Sabato che è un argomento ancora scottante, c'è una scomparsa, un'assenza e ci sono i curdi in fuga.
Se avessi scritto il film oggi forse avrei aggiunto un po' più di angoscia, perché c'è nell'aria qualcosa di strano, un sentimento di attesa: sono in corso grossi mutamenti e mi chiedo spesso cosa succederà e fino a dove arriveranno questi continui cambiamenti in nome di una maggiore democrazia. Oggi ad esempio è stato dato il via libera all'accesso delle donne con il velo nelle forze armate, ma è fondamentale che non sia un primo passo per tornare al velo obbligatorio.
Istanbul, tra mito e realtà
La colonna sonora è costituita dai continui rumori di sottofondo: il canto dei muezzin, le trivelle, le navi sul Bosforo. Insieme ci restituiscono Istanbul come un cantiere a cielo aperto, una città in divenire...
Avevamo riempito il film di musica, poi il sound designer mi fece ascoltare i rumori della città registrati durante i miei diciotto giorni di riprese: si sentivano i suoni delle sirene, echi di scontri in lontananza e il rumore insistente di una trivella che scava e che si poteva avvertire da diversi punti della città. Così mi venne voglia di usarli e inserirli come leit motiv. Racconto Istanbul attraverso i suoi rumori: non vedi quello che succede, ma lo senti.
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Sembra che i personaggi emergano dal libro prendendo forma e sostanza e la sensazione è che via via assumano il comando e vivano di vita propria sfuggendo al controllo dell'autore.
Tutti noi registi abbiamo la capacità di avere il comando sulle cose e decidere cosa cambiare, levare o inserire, ma nel film i personaggi prendono in mano il destino delle cose.
E il Rosso Istanbul del titolo?
Arriva da mia madre che a 93 anni, in seguito ad un'operazione, scambiò la gentilezza del suo fisioterapista per amore; era stata fino a quel momento una donna molto elegante e schiva, indossava le perle e portava solo smalto trasparente, un giorno invece mi chiamò chiedendomi di portarle uno smalto rosso e una tuta rossa, "tipo rosso Istanbul" mi disse. Così quando scrissi il libro ci ripensai, è il rosso che trovi solo all'alba e al tramonto.