C'è un cinema che si nutre di sospensioni, indugia sul gioco dei contrasti e dei non detti, e racconta storie di confine. Sono le premesse necessarie per accostarsi alla recensione di Rosa e imparare a conoscere il mondo di Kaja Colja, sceneggiatrice e regista soprattutto di documentari, che debutta alla regia di un lungometraggio di finzione con un film di rara grazia, in uscita il 18 settembre.
Per farlo si affida al temperamento di Lunetta Savino, nel suo primo ruolo da protagonista assoluta, interprete che fa dell'autenticità la chiave fondamentale per restituire la Rosa del titolo. Nota per il personaggio di Cettina Gargiulo di Un medico in famiglia che le regalò la fama presso il grande pubblico, qui la vedrete alle prese con una figura di donna poco esplorata dal cinema italiano, e che lascia poche consolazioni alla cultura del maschio alfa. Un film di rottura, che sdogana il tema della riscoperta della sessualità e del piacere nella terza età e rielabora in chiave femminile e femminista quello del superamento del lutto.
Il concetto di confine, l'elaborazione del lutto e la femminilità ritrovata nella trama del film
Rosa ha dalla sua delicatezza e coraggio nell'affrontare una poetica del limite che sottende alla storia del film a livello sia di contenuti che di forma. La silente protagonista ha sessant'anni, quaranta dei quali passati insieme a Igor nella casa di Trieste che hanno appena deciso di vendere, perché quel che ne rimane è il mausoleo di un matrimonio al capolinea, un simulacro che ha congelato i ricordi e l'amore.
Lei pugliese, lui sloveno, sono riusciti a sopravvivere a mille tempeste, sono rimasti a galla negli anni del contrabbando attraverso la frontiera italo-slovena, quelli in cui Rosa trafficava calze di nylon e jeans grazie a un "socio", Brane, e Igor collezionava statuette dei suoi eroi comunisti. Non ce l'hanno fatta invece a superare la perdita della figlia più giovane, Maja, che li ha portati a diventare due estranei, ognuno chiuso nel proprio insopportabile, muto dolore: Igor intento a rimettere segretamente a posto la barca a vela di Maja, la stessa che non l'ha mai riportata indietro; Rosa invece, impegnata a soffocare la tragedia tra le mura di casa e il cimitero. Vivono sotto lo stesso tetto, ma gli spazi di condivisione sono millimetricamente limitati, l'unica eccezione è quando arrivano gli ospiti con cui mantenere una parvenza di tranquillità.
Un'agonia interrotta da una bizzarra scoperta: nella stanza rigorosamente chiusa a chiave di Maja dove sono sepolte le tracce della sua breve vita, Rosa ritrova un sex toy e una serie di ritratti, che la condurranno nel salone di un'eccentrica parrucchiera. Proprio lì, nel retro del negozio, in quell'angolo almodovariano in cui si tengono incontri settimanali per sole donne, Rosa imparerà a ritrovare se stessa e a riappropriarsi di una femminilità da troppo tempo sopita.
Katja Colja, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Tania Pedroni e Elisa Amoruso, lascia che a parlare siano gli ambienti claustrofobici di quella casa, gli oggetti di cui è piena: le fotografie, i poster, i vecchi libri, le credenze, le chincaglierie, la carta da parati, una maschera di carnevale. La regia punta a uno stile asciutto e rigoroso, lavora sui dettagli e l'essenziale rivelando più di un debito verso il cinema nord europeo e costruisce l'intero film sul concetto di confine: quello evocato da una città di frontiera come Trieste, plumbea e dolente, quello tra le luci e le ombre che popolano la casa sin dalla prima inquadratura, ma anche la sottile linea di separazione tra i corpi di lei e di lui, tra la vita e la morte, tra il prima e il dopo.
Lunetta Savino, interprete di un personaggio di rara grazia
Sarà l'irruzione di un gioco erotico a ridefinire i limiti di Rosa e ad avviare un'intima e personalissima rivoluzione, che passa attraverso la riscoperta del piacere e l'affermazione della propria femminilità al di là di quel "Io sto bene così", che le viene così naturale ripetere. Lunetta Savino composta, trattenuta e così abile a lavorare per sottrazione, tratteggia una protagonista in continua evoluzione, il film è lei: che si fa scoprire, si lascia spiare dalla telecamera di Colja porgendo con discrezione la propria nudità e si offre al pubblico senza trucco, capelli grigi che cascano sui segni della vecchiaia e incedere silenzioso e dimesso. Tutto in punta di piedi, senza dimenticare di concedersi il tempo di un sorriso nelle situazioni più stravaganti che regalano inattesi momenti di leggerezza.
Conclusioni
Alla fine della recensione di Rosa non possiamo non riconoscere la portata rivoluzionaria di un racconto che si batte per la riconquista di un femminile inesplorato. La regia procede per sottrazioni e compostezza, parlano gli spazi e i silenzi, mentre la scrittura regala a Lunetta Savino un personaggio, il suo primo da protagonista, che le consente di primeggiare. Una donna che attraversa la scena in punta di piedi, con la grazia della verità.
Perché ci piace
- Una regia rigorosa che per ritmo e compostezza avvicina il racconto alla rarefazione del cinema nordico.
- L'abilità di far parlare gli spazi, gli oggetti che ingombrano, riempiono e definiscono i personaggi in un continuo gioco di contrasti tra luce e ombra, vita e morte, detto e non detto.
- I temi dell'elaborazione del lutto, dell'attraversamento di confini fisici e psicologici e della riconquista di una sessualità che non ha età, si alternano nelle giuste dosi.
- Lunetta Savino si mette a nudo e giganteggia in un'interpretazione che è il cuore del film.
Cosa non va
- Forse una certa lentezza del racconto potrebbe scontentare i meno avvezzi a un determinato tipo di atmosfere e storie.