Quando nel 2012 la Disney acquistò la LucasFilm e annunciò la sua volontà di realizzare dei nuovi film di Star Wars l'entusiasmo dei fan storici per dei nuovi capitoli che facessero proseguire la saga con interpreti e personaggi originali fu pari solo alla perplessità e alla paura dell'annuncio successivo, ovvero quello di inserire nell'attesa tra un episodio e l'altro anche dei film stand-alone, dei veri e proprio spin-off che riprendessero personaggi e situazioni storiche del franchise.
Il perché non è difficile capirlo: se da una parte c'era il fascino di vedere attori amatissimi quali Harrison Ford, Carrie Fisher e Mark Hamill tornare nuovamente ad indossare i panni di personaggi che hanno segnato un'epoca, dall'altra c'era orrore e raccapriccio all'idea di voler sfruttare fino al midollo la saga e soprattutto andare a toccare/modificare qualcosa che è perfetto e non necessita alcuna aggiunta. Anche perché, non va certo dimenticato, lo stesso George Lucas nel suo essere costantemente insoddisfatto e desideroso di ampliare e correggere l'universo che egli stesso ha creato nel 1977 ha fatto, almeno agli occhi dei fan, non pochi danni.
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A quattro anni da quella storica acquisizione le cose non potrebbero essere più differenti: l'episodio VII di J.J. Abrams, Star Wars: Il risveglio della forza, è arrivato nella sale, ha infranto record al botteghino e ha compiuto la sua missione impossibile di rilanciare verso il futuro una saga ed una storia che era ferma da 30 anni, eppure non è riuscito a conquistare del tutto la fiducia dei fan storici della saga a causa di un'operazione forse fin troppo furba e cauta che ha spinto più sul pedale del remake/reboot che su quello del sequel vero e proprio. Chi scrive continua a pensare che in molti casi gli spettatori, ancor più che i critici, siano stati fin troppo severi con quel film che, probabilmente, prima di essere giudicato andrebbe inquadrato in un disegno più ampio, quello di formare nuovi fan, nuove generazioni e creare nuove mitologie, piuttosto che cercare di riportarci indietro alle atmosfere e alle sensazioni di quattro decenni prima. Anche perché a fare tutto questo ci pensa proprio questo Rogue One: A Star Wars Story, e meglio ancora di quanto potessimo desiderare.
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Una vera guerra stellare
Diciamolo subito così da non illudere nessuno: se dalla saga di Star Wars e dall'entusiasmo che da decenni la circonda vi sentite esclusi, non sarà probabilmente questo il film che vi farà cambiare idea. Perché per quanto il lavoro di Gareth Edwards possa essere apprezzabile anche da solo e per quanto possa essere definito a tutti gli effetti un bel film - tanto che facciamo fatica a trovare, in tutta la storia del cinema, uno spin-off più riuscito di questo - è evidente che gran parte del suo fascino e della sua Forza risieda proprio nel suo essere di fatto non solo un altro tassello della saga, ma un vero e proprio prequel di Star Wars. Anzi del "primo" Star Wars, quel Guerre stellari del 1977 che ha conquistato intere generazioni e su cui Lucas ha costruito il suo vasto impero.
Se Il risveglio della Forza aveva dunque il limite strutturale di far ripartire una saga, riaccendere la magia e costruire un ponte verso nuove storie e avventure, questo Rogue One si può permettere invece il lusso di prendere quello che era il presupposto iniziale della trilogia originale - i piani della Morte Nera rubati dai ribelli - e semplicemente porsi una semplice domanda: cosa è successo a coloro che hanno rischiato la loro vita per ottenere quelle informazioni così importanti? Una domanda banale che moltissimi fan si sono fatti mille volte in questi quarant'anni ma che ha permesso agli sceneggiatori Chris Weitz e Tony Gilroy di fare probabilmente il lavoro più bello e desiderato di Hollywood, se non del mondo: immergersi completamente dentro l'universo di Star Wars e ampliarlo semplicemente rimanendo fedele ai temi, allo stile e al gusto dell'epoca. Non dovendo quindi necessariamente aggiornarli ai gusti e al pubblico di oggi come in qualche modo ha dovuto fare Abrams, ma provare a restituire esattamente quelle sensazioni ormai lontane.
Incredibilmente quello che ne viene fuori è un film inizialmente diverso da tutti gli altri della saga, tanto da ricordare in più di un'occasione pellicole di genere bellico piuttosto che fantasy o di fantascienza, ma è anche un film che nella sua seconda parte è un continuo crescendo di ritmo, di scene emozionanti ed esaltanti e soprattutto di elementi starwarsiani che finiscono inevitabilmente per conquistare anche i fan più disincantati e difficili. Fin dall'inizio Edwards dimostra grande coraggio e indipendenza, e fa capire apertamente che non vuole che il suo Rogue One venga considerato un episodio "normale" della saga - tanto che nell'incipit mancano sia le tipiche scritte iniziali a scorrimento che la celeberrima musica di John Williams. Il bello però è che lo diventa un po' alla volta e, col trascorrere dei minuti, sempre di più; e lo diventa in modo assolutamente naturale, tanto che nella scena finale sembra di essere non in uno dei tanti film di Star Wars, ma esattamente dentro quel Guerre stellari del 1977. Merito di effetti speciali digitali davvero sorprendenti, merito della storia e dell'universo di Lucas che così bene si presta ad operazioni del genere, ma merito soprattutto di un regista che è riuscito davvero a capire lo spirito del film originale e anche di cosa sembravano aver davvero bisogno i fan storici.
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L'impero colpisce sempre
Uno spin-off per definizione è un'opera che si focalizza su personaggi e storie diverse mantenendo l'ambientazione ed alcuni elementi dell'originale, e Rogue One fa esattamente questo, ma lo fa partendo da quelli che erano stati i veri punti cardine della prima trilogia, non tanto i cavaliere jedi e la Forza, non il rapporto tra la principessa e la canaglia, ma il fascino dei cattivi: quell'Impero che poteva distruggere un intero pianeta con un raggio laser e quell'uomo nero e mascherato che poteva uccidere con la sola forza del pensiero. Dovendo quindi scegliere un elemento da portarsi appresso per farne uno spin-off quale scelta migliore di quella fantastica trovata che è la Morte Nera e tutti i suoi spaventosi abitanti?
In Rogue One ritroviamo così un Darth Vader in una forma strabiliante e spaventoso come mai, ma è la potenza schiacciante dell'Impero nel suo insieme a fare paura e a rendere questo film così cupo e così riuscito. Merito anche del Direttore Krennic interpretato da Ben Mendelsohn, l'ufficiale a cui è affidata la costruzione della Morte Nera, che è però un personaggio molto più umano, fallibile ed emotivo dei cattivi a cui siamo stati finora abituati (con l'esclusione di Kylo-Ren ovviamente): non sorveglia e dirige da lontano come il Grand Moff Tarkin, non rimane impassibile come Lord Vader e non esegue solo gli ordini come gli stormtrooper, ma è un uomo che agisce, interviene personalmente e si lascia trasportare dalle emozioni quali ambizione, rabbia e desiderio di vendetta. È la dimensione più umana dell'Impero, quella che forse era mancata finora nella saga e che in qualche modo rende il film più attuale e vicino al nostro tempo.
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Una saga fondata sulla speranza
Lo stesso vale per i ribelli, e anche in questo caso veniamo a conoscere nuovi aspetti della ribellione che finora avevamo solo potuto immaginare: i sacrifici, le battaglie e le imprese impossibili così come la necessità di agire nell'ombra questa volta li viviamo in prima persona attraverso gli splendidi occhi dell'eroina interpretata da Felicity Jones, Jyn Erso. Insieme a lei un gruppo variegato di personaggi che includono l'ufficiale Cassian Andor (Diego Luna), due vecchi guerrieri - Chirrut, cieco e devoto alla Forza (Donnie Yen) e il più rozzo ma non per questo meno leale Baze (Jiang Wen)- un ex pilota dell'Impero di nome Bodhi (Riz Ahmed) ed un divertente droide chiamato K-2SO (motion capture e voce originale di Alan Tudyk) che non riesce a non dire ogni cosa che pensa.
Grazie a questo nuovo gruppo di protagonisti riusciamo ad appassionarci di nuovo a quella stessa causa per cui voleva lottare Luke Skywalker e lo facciamo con la stessa incoscienza pur sapendo di trovarci davanti un nemico troppo potente e troppo numeroso. Ma dove ci sono i ribelli c'è la speranza, una parola che da sempre ha caratterizzato più di qualsiasi cosa la saga di Lucas: la speranza di riportare l'equilibrio nella Forza o di salvare l'amata o di far emergere del buono in colui che non sembrava più essere nemmeno un uomo. In questo Rogue One c'è innanzitutto la speranza di una bambina di rivedere suo padre e scoprire che non l'ha tradita, così come c'è quella di un'intera galassia di riuscire a fermare quell'arma di distruzione totale che annienterebbe per sempre ogni tentativo di opposizione.
Noi spettatori, mai come questa volta, sappiamo già come andrà a finire questa storia, sappiamo che quel piano apparentemente suicida, quell'ultima fievole ma viva speranza, troverà il suo giusto compimento e che quei piani finiranno poi nelle mani di Leia, e poi di R2-D2 e infine di Luke e Obi-Wan Kenobi. Eppure il perfetto equilibrio nella sceneggiatura e nella regia, la sapiente calibrazione di elementi nuovi e vecchi, di omaggi/camei e colpi di scena, ci guida con quel finale assolutamente perfetto verso un universo familiare che come per magia diventa improvvisamente ancora più bello e più ricco. E quella speranza che quattro anni fa per molti sembrava vana ed insensata ora possiamo dire con certezza che sia invece diventata realtà: Star Wars è più vivo che mai e non c'è nulla che possa rovinarne la memoria, nemmeno uno spin-off. Anzi, a dirla tutta, ora aspettiamo impazienti i prossimi.
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4.0/5