Roger Avary e il cinema americano oggi: “Farei volentieri un film Marvel”

La seconda parte della nostra intervista esclusiva allo sceneggiatore e regista americano Roger Avary, con cui abbiamo chiacchierato della sua carriera e dei suoi progetti.

Quentin Tarantino sul set di Pulp Fiction con Harvey Keitel, John Travolta e Samuel L. Jackson
Quentin Tarantino sul set di Pulp Fiction con Harvey Keitel, John Travolta e Samuel L. Jackson

Dopo aver vinto l'Oscar per la sceneggiatura di Pulp Fiction, insieme all'amico Quentin Tarantino, Roger Avary si è creato un percorso tutto suo nel cinema americano indipendente, e parte di quel percorso si è intersecata con la carriera dello scrittore Bret Easton Ellis: dal 2002 a oggi, Avary ha firmato due film basati sui testi del romanziere (di cui uno inedito commercialmente), e ne sta preparando un terzo. Di questo, e del cinema americano odierno in generale, con le sale dominate dai blockbuster, abbiamo parlato in questa seconda parte della nostra intervista esclusiva, fatta a Ginevra lo scorso novembre quando Avary era membro della giuria del concorso lungometraggio del Geneva International Film Festival.

Roger Avary e Pulp Fiction: "Quando vinsi l'Oscar mi scappava la pipì"

L'incontro con Ellis

Christian Bale American Psycho
Christian Bale in una scena di American Psycho

Le regole dell'attrazione è stato il tuo primo adattamento di un libro di Bret Easton Ellis. Com'è nata l'idea di portare il romanzo sullo schermo?

Ho letto il libro all'università, e mi riconoscevo in quelle situazioni. Nel tempo libero decisi di adattarlo, senza sapere a chi appartenessero i diritti, solo per far uscire quell'energia, quella parte della mia vita. Una volta scritta la sceneggiatura la misi in un cassetto e la dimenticai. Anni dopo cercai di fare un film su Salvador Dalì, ma nessuno voleva finanziarlo, e il produttore con cui lavoravo all'epoca, Greg Shapiro, mi chiese se avessi altro materiale. Lui voleva un'altra sceneggiatura mia, sulla Seconda Guerra Mondiale, ma quel copione in particolare è troppo personale e doloroso, non voglio farlo leggere a nessuno. A quel punto gli diedi il mio adattamento del libro di Bret Easton Ellis, convinto che non avrebbe comprato i diritti. Invece li comprò, e il film si fece senza troppi problemi, grazie al successo di American Psycho. Tra l'altro, durante la pre-produzione mi chiesero se fosse possibile intitolare il film American Psycho II: Le regole dell'attrazione. Ovviamente dissi di no, e mi chiesero scusa, perché erano stati costretti a farmi quella domanda. Per inciso, a me piacerebbe fare un vero sequel. La mia idea sarebbe ritrovare Patrick Bateman a Hollywood, dove lui fa il dirigente di uno studio e uccide gli attori. Secondo me potrebbe essere un buon sequel.

Ian Somerhalder e James Van Der Beek in una scena de Le regole dell'attrazione
Ian Somerhalder e James Van Der Beek in una scena de Le regole dell'attrazione

Tornando alle Regole, toglimi una curiosità: hai scritturato James Van Der Beek perché il suo personaggio era l'anti-Dawson?

Sì, è andata esattamente così. C'erano due candidati per quel ruolo, lui e James Franco. Anche Franco sarebbe stato ottimo, ma mi sembrava una scelta un po' ovvia. La cosa divertente è che quando ho incontrato Van Der Beek mi sono subito reso conto che lui non è affatto come Dawson, e ci siamo divertiti molto a fare questo film insieme.

Dawson's Creek: che fine hanno fatto i protagonisti?

Stranger Things:
Stranger Things:

Nello stesso periodo hai anche girato Glitterati, che però non è mai uscito ufficialmente per motivi legali. È così?

È una questione economica, più che legale, a causa della musica. Il film è un poema sinfonico, dove la storia è raccontata attraverso i testi di varie canzoni. Mi piacerebbe farlo uscire, ne parlerò con la LionsGate che adesso ha i diritti di tutti i miei film. Il problema è Stranger Things, nel senso che da quando Netflix ha iniziato a pagare più del dovuto per i diritti musicali, noi registi indipendenti non possiamo più permetterci le canzoni. Ho dovuto rinunciare a tantissime canzoni che mi interessavano per il mio nuovo film, e ho speso tutto il budget musicale per un brano di Charles Aznavour, che tra l'altro è morto durante la lavorazione. Adesso quelli che gestiscono le licenze musicali aspettano Netflix, perché sono disposti a sborsare centinaia di migliaia di dollari.

The Canyons a Venezia 2013 - lo scrittore  Bret Easton Ellis
The Canyons a Venezia 2013 - lo scrittore Bret Easton Ellis

E adesso stai lavorando a Glamorama. Credo di aver letto della tua intenzione di adattarlo già nel 2004.

Sì, ho comprato i diritti all'epoca. È un film difficile da fare, perché parla di schizofrenia, ma è anche una spy story, con modelle armate di mitra. È una storia talmente stramba, e tutti si aspettavano un film simile al precedente, che non andò bene in sala, quindi nessuno volle finanziarlo. Nel frattempo mi chiesero di adattare Lunar Park, e ci furono problemi anche con quello e i diritti andarono a qualcun altro. Adesso sono di nuovo in mano a Bret, quindi potrei farlo, ma dipende da lui.

Siete in contatto per i film che fai dai suoi libri?

Con Bret? Sì, ho appena partecipato al suo podcast.

Evan Rachel Wood, Nikki Reed e Kip Pardue in una scena di Thirteen - Tredici anni
Evan Rachel Wood, Nikki Reed e Kip Pardue in una scena di Thirteen - Tredici anni

Tornando a Glamorama, Kip Pardue [interprete di Victor Ward nei due progetti precedenti, n.d.r.] è troppo vecchio adesso?

Purtroppo sì. C'è una canzone, riferita al mondo dei modelli, che dice che non ti vuole più nessuno dopo i 21 anni. Victor, nel romanzo, è a fine carriera, quindi dovrebbe avere 22 anni. Forse 24, se vogliamo spingerci al limite. Con un attore in grado di sembrare più giovane non sarebbe un problema, ma Kip è diventato padre, è palesemente invecchiato. Potrebbe eventualmente interpretare Bobby [un altro modello, leader di un'organizzazione terroristica, n.d.r.]. La stessa cosa è successa a Oliver Stone con Alexander: doveva farlo con Val Kilmer, ma ci ha messo così tanto che Val è finito a fare il padre di Alessandro.

Oliver Stone: "Scarface? L'ho scritto quando la cocaina mi stava distruggendo"

The Canyons a Venezia 2013 - lo scrittore  Bret Easton Ellis sul red carpet
The Canyons a Venezia 2013 - lo scrittore Bret Easton Ellis sul red carpet

È difficile ottenere i finanziamenti per questi film oggi, considerando anche che Ellis è politicamente scomodo?

Partiamo dal presupposto che è difficile per qualunque film. Però sì, i romanzi di Bret sono particolarmente difficili da portare al cinema, perché lui fa satira, e questo di solito fa paura agli executives perché non capiscono la satira. Molta gente a Hollywood non guarda oltre la superficie. Loro pensano a quello che ha funzionato la settimana prima. Una volta stavo scrivendo una sceneggiatura per una casa di produzione tedesca, era l'adattamento di un videogame. Ogni lunedì mi telefonavano per dirmi che lo volevano simile all'ultimo film che avevano visto. A me non interessa seguire le mode, voglio crearne per conto mio.

Bret Easton Ellis: negli anni '70 i film erano arte e industria. Poi sono diventati packaging"

La questione Scorsese

Img 7867 Copia
Roma 2018: uno scatto di Martin Scorsese sul red carpet

Di recente si è parlato dello stato attuale del cinema americano, e Martin Scorseseì si è pronunciato sul fatto che i blockbuster dominino le sale.

Secondo me non si è espresso correttamente. La questione non è se quei film sono cinema o no: lo sono, è ovvio. Nel momento in cui il pubblico si riunisce in una sala per vedere quello che è l'equivalente moderno della mitologia d'altri tempi, quello è cinema. È un'esperienza collettiva, e può non piacerti che in un multiplex con dodici sale ce ne siano otto solo per il film della Marvel, ma quei film riuniscono le persone e generano una reazione emotiva, quindi è cinema. La vera domanda è: si tratta di propaganda aziendale o individuale? Personalmente mi diverto con i film Marvel, li trovo pieni di inventiva e creatività, raccontano bene le storie e provo varie emozioni mentre li vedo. Anche quando li vedo in aereo, in formato ridotto, la componente emotiva è la stessa.

The Irishman, Martin Scorsese a Roma: "Netflix? La sala è preferibile, ma non è l'unica opzione"

Spider-Man: Homecoming, Tom Holland e Jacob Batalon in un momento del film
Spider-Man: Homecoming, Tom Holland e Jacob Batalon in un momento del film

Ti andrebbe di fare un film Marvel?

Assolutamente sì, darei la mia palla sinistra per farne uno! Deadpool 3? Quello è nelle mie corde. Mi sono incazzato quando hanno fatto marcia indietro con James Gunn, speravo che lui ne restasse fuori e che pensassero a me. Sarebbe un'opportunità meravigliosa lavorare con la Marvel. Rendiamo l'idea: il mio ultimo film è costato 5 milioni di dollari, che è lo stesso budget del precedente, solo che quello è uscito quasi vent'anni fa, quindi c'è l'inflazione. E all'epoca lo feci con soldi veri, questo invece l'ho dovuto fare con sovvenzioni governative canadesi. Mi piacerebbe da morire un budget di 190 milioni di dollari, poter pranzare come si deve ogni giorno, avere un calendario di riprese che vada oltre 30 giorni, la promessa di un'uscita su larga scala. Sarebbe un film che la gente ha voglia di vedere, a livello mondiale. Se vedi quello che hanno fatto James e Taika Waititi, c'è spazio per gli autori. Il mio preferito è Spider-Man: Homecoming, perché è come un film di John Hughes. Io sarei in grado di fare una cosa del genere. E avrei a disposizione le persone migliori in ogni campo. Chi direbbe di no a un'opportunità del genere?

The Irishman 3
The Irishman: Robert De Niro in una sequenza del film

Scorsese?

Touché. Ma la domanda è appunto legata alla propaganda. Se è governativa, mi tiro indietro, come a mio avviso avrebbe dovuto fare Leni Riefenstahl, per esempio, anche se i suoi documentari hanno una notevole potenza cinematografica. In quanto cineasta, sei sempre al servizio di qualcuno, devi rispondere a qualcuno. Si tratta di scegliere bene a chi vuoi rispondere, e i dirigenti della Marvel ti trattano bene, fanno buoni film. Non capisco il motivo delle lamentele di Scorsese, a parte la questione del tipo di cinema in cui proiettano The Irishman e non riescono a far funzionare il proiettore digitale la sera della prima. E da quel punto di vista, è una battaglia che abbiamo perso con l'avvento del digitale. Non sto dicendo che il digitale sia una cosa malvagia, ma una volta che l'abbiamo accettato le sale si sono date la zappata sui piedi da sole.