Passato e presente, idealismo e pragmatismo. Tanti sono i temi che si intrecciano in The Company You Keep, libero adattamento del thriller a sfondo politico di Ron Jacobs diretto e interpretato dal grande Robert Redford. Uno sguardo sulla lotta radicale degli anni '70 e sui movimenti di protesta contro la guerra in Vietnam filtrata attraverso lo sguardo di chi quell'esperienza l'ha vissuta e oggi ne paga le conseguenze. Per la sua nuova, emozionante pellicola Redford ha riunito uno straordinario cast che annovera star come Susan Sarandon, Nick Nolte, Richard Jenkins, Julie Christie, Brendan Gleeson e l'emergente Brit Marling. Ad accompagnare Redford nella sua prima visita alla Mostra del Cinema di Venezia, però, troviamo il suo co-protagonista Shia LaBeouf, giovane ribelle di Hollywood che si sta costruendo una carriera di tutto rispetto.
Come è nata l'idea di realizzare The Company You Keep?
Robert Redford: Sono sempre stato interessato a raccontare la storia dei Weather Underground, ma prima era troppo presto perché i crimini del gruppo ancora bruciavano, perciò ho aspettato fino a questo momento. Ora possiamo guardare indietro con un certo distacco e riflettere su ciò che è accaduto. A livello umano sono stato attratto dall'idea che ci fossero somiglianze con un classico che amo molto come I miserabili di Victor Hugo. Il mio protagonista mi ricorda quello del romanzo di Hugo, un innocente in fuga braccato dalla polizia che tenta di proteggere la figlia a ogni costo.
Come è stato scelto l'incredibile cast che riunisce grandi star mature e giovani promesse?
Robert Redford: Nelle star vecchiotte sono incluso anche io? (ride) Non ho ragionato in temini di età, ma di qualità. Essendo io un attore sono molto sensibile al lavoro degli interpreti. Per esempio con Julie Christie abbiamo cominciato a fare film nello stesso periodo e l'ho sempre apprezzata.
Nel film ci sono due generazioni a confronto, la vecchia, impegnata nelle lotte sessantottine, e la nuova. Dopo anni di silenzio politico oggi realtà come Occupy Wall Street e Pussy Riot cominciano a fare notizia sui giornali. Non credete che la nuova generazione stia ereditando la stessa rabbia e lo stesso impegno di quella passata?
Shia LaBeouf: Non abbiamo la stessa posta in gioco. Un tempo si combatteva per non farsi mettere una pistola alla tempia e finire in Vietnam, oggi invece combattiamo per uscire dalla crisi, per avere migliori opportunità economiche.
Robert Redford: Ogni generazione ha i suoi momenti di riflessione e di presa di coscienza politica. Oggi si agisce in modi diversi, ma il momento della ribellione arriva sempre.
Lei cosa faceva e cosa pensava all'epoca della contestazione?
Robert Redford: Ho sempre pensato che il movimento avesse buoni motivi per ribellarsi, ma avevo giò capito che l'ego dei membri dei Weather Underground, alla lunga, avrebbe causato l'involuzione del gruppo e anche la causa sarebbe stata divorata nel suo ego. Prima o poi l'autocompiacimento avrebbe provocato la crisi del movimento, ma i motivi per cui si combatteva erano sacrosanti. Anche io condanno il Vietnam, ma in quegli anni non facevo attività politica perché cominciavo a crescere una famiglia e a costruirmi una carriera nel cinema.
Il confronto tra passato e presente si riflette anche nella rappresentazione del personaggio del giornalista interpretato da Shia LaBeouf. E' interessante confrontarlo con quelli di Tutti gli uomini del presidente. Secondo voi è vero che il giornalismo sta morendo?
Shia LaBeouf: Per quanto riguarda i confronti generazionali posso parlare solo della mia perché è l'unica che conosco. In Tutti gli uomini del presidente c'erano due modelli di giornalista: il personaggio di Robert rappresenta l'idealità mentre quello di Dustin Hoffman è lo spregiudicato pronto a tutto per uno scoop. Io rappresento una sintesi tra i due, ma credo che ci sia meno idealismo tra i giornalisti di oggi. C'è un libro, intitolato Il giornalista e l'assassino che analizza proprio questa situazione concentrandosi sull'etica della professione.
Robert Redford: Le generazioni sono soggette al momento storico in cui vivono. Ai miei tempi i giornalisti lavoravano in condizioni diverse da oggi. Non esisteva internet e reperire le informazioni era un lavoro più complesso. Ciò che rimane costante è la necessità di ribellarsi nel momento in cui vengano promulgate leggi sbagliate e prese decisioni politiche che vadano contro gli interessi del popolo. Questa è una cosa sana che si deve verificare sempre e i giornalisti devono poter denunciare i mali della società. E' ciò che per fortuna sta accadendo anche oggi. Un tempo nel giornalismo americano non c'era tutta questa rabbia, i reporter di Tutti gli uomini del presidente perseguivano la verità, ma erano consapevoli che, con essa, sarebbe arrivata anche la gloria personale. In questo caso anche il personaggio di Shia cerca la gloria personale. C'è un legame sottile tra i due film che ha a che fare con l'ego.
Durante la campagna del 2008 Obama è stato criticato per un legame con un ex Weatherman.Ci ha pensato mentre realizzava il suo film?
Robert Redford: No, era un legame così tenue che all'epoca l'ho ignorato. Ci sono poche prove, ma è tipico delle due fazioni, soprattutto dei repubblicani, scavare nel torbido per mettere in cattiva luce l'avversario.
Lei crede che il pubblico europeo sia più interessato alla dimensione politica? Rispetto a quello americano?
Robert Redford: Invidio moltissimo l'Europa perché è più antica degli Stati Uniti ed è ricca di cultura. Nonostrante la gloria e le bellezze naturali, si sente che l'America manca di questa cultura. Amo molto l'Europa. Essere qui a Venezia è meraviglioso. Riflettendo sul passato, però, mi rattrista vedere che la mia generazione ha corrotto l'abilità dei giovani di mettersi alla guida di realtà di organi pubblici e di prendersi delle responsabilità civili.
"Non c'è bisogno degli Weathermen per sentire il vento". Si identifica con questa frase che appare nel film? I movimenti politici non sono stati fondamentali alla presa di coscienza della gioventù sessantottina? Lei ha mai contattato i membri dell'organizzazione per il film?
Robert Redford: Non ho parlato con gli ex membri, ma ho avuto un colloquio col figlio di uno di loro cresciuto, per cinque anni, come un fuggiasco. Nel mio film, nonostante tutti i riferimenti politici, il fulcro della storia è la scelta di uomo che fa di tutto per proteggere la figlia. Il mio personaggio fa quel che fa per via dell'amore verso la famiglia. Il resto è superfluo.
Shia, molti grandi registi hanno puntato su di te come icona della nuova generazione. Ti sei mai chiesto il motivo?
Robert Redford: Posso dire che io l'ho scelto perché è un attore brillante, ha l'energia e la capacità necessarie e speravo che accettasse.
Shia LaBeouf: Quando mi è arrivata la proposta di Robert non ci credevo. Mi sono sentito baciato dagli dei
Molti hanno erroneamente identificato il movimento politico degli anni '70 col terrorismo ed è importante che lei tenti di spegare le ragioni obiettive dei cosiddetti terroristi mettendosi contro l'opinione pubblica.
Robert Redford: Non conosco i movimenti terroristici europei abbastanza bene, ma io credo che nel mio paese l'idea e le intenzioni fossero giuste. Loro lottavano per le pari opportunità, per la libertà di parola, per la pace. La loro causa era giusta, ma non era questo che mi interessava mostrare. Io ero interessato alla loro vita personale. Nel film mi soffermo su cosa accade trent'anni dopo la fine del movimento. Ho usato materiale d'archivio solo all'inizio del film perché a me interessava mostrare il presente. Cosa pensano oggi gli ex Weathermen? Alcuni si sono pentiti, altri guardano indietro e difendono ciò che hanno fatto. E' la complicazione che mi interessava mostrare, i sentimenti e le emozioni attuali di chi ha partecipato alla lotta.
II sottotesto che traspare, però, non è troppo speranzoso. Lottare per una giusta causa sembra inutile perché alla fine i ricchi sono comunque più forti e vinceranno sempre.
Robert Redford: Noi non siamo inutili altrimenti io non sarei qua. Se guardo alla storia americana passata vedo che si ripetono gli stessi errori e le stesse condizioni. Ci sarà sempre bisogno di correggere le ingiustizie. Sono situazioni inevitabili.
Shia, alcuni attori del passato, come Robert Redford e Clint Eastwood, sono diventati grandi registi. Tu hai mai pensato di dedicarti alla regia un domani?
Shia LaBeouf: Per il momento cerco di essere bravo in un'unica cosa. Ho la capacità di concentrazione di un attore, sei mesi. Spero di maturare, di diventare come Bob che lavora per cinque anni a un progetto.
Mimi, il personaggio interpretato da Julie Christie, sostiene che il sistema protegge i ricchi. Lei è d'accordo con questa affermazione?
Robert Redford: I super ricchi sopravvivono a prescindere da ciò che si fa per contrastarli. Wall Street continua a operare nonostante la crisi e sono molto quelli che danno la scalata all'ambiente finanziario per conquistare una fetta di quel potere. Basta osservare la convention repubblicana per vedere come le tematiche economiche affrontate riguardino l'1% della popolazione americana perciò sì, sono d'accordo con l'affermazione del personaggio di Julie Christie.
L'idea della violenza come opzione traspare dal film. Lei cosa ne pensa della lotta armata?
Robert Redford: Nel film la violenza è un'opzione toccata per sollevare una questione che altrimenti non sarebbe stata sollevata. Per me la violenza è l'ultima istanza possibile. Il film parla di violenza, ma non la mostra mai. Semmai mi preoccupo di mostrare le conseguenze che la lotta violenza ha avuto sulle esistenze di chi l'ha praticata. Spero che si possa dire che la violenza nel film è unicamente emotiva perché i personaggi devono affrontare la propria esistenza attuale tenendo conto del proprio passato.