Ritorno a Seoul, la recensione: un grande film sull'incontrollabile condizione umana

La recensione di Ritorno a Seoul: una ragazza coreana in cerca della sua identità biologica per un film che mette in scena le dimensioni umane. Scritto e diretto da Davy Chou.

Ritorno a Seoul, la recensione: un grande film sull'incontrollabile condizione umana

Persone e mai personaggi, che fanno il giro emotivo di un film di occhi e di parole (dette e non dette), di colori freddi e poi caldissimi. Potremmo partire dal finale, esempio di cinema tanto coerente quanto spietato. Potremmo partire dal centro, in cui la protagonista - irrigidita, quasi stilizzata - si aggira in una Seoul notturna, avendone ormai preso le inflessioni, i riflessi e le cadenze. Potremmo poi partire dall'inizio, quando la stessa protagonista, arruffata e sperduta, si ritrova per sbaglio (o per caso?) dove tutto è iniziato. Del resto, lo splendido Ritorno a Seoul, diretto da Davy Chou, è un film che va dritto, orizzontale; un film che pensa e riflette nel contesto umano che mette in scena. Una scena ponderata e verissima, agendo sui sentimenti senza che i stessi sentimenti riescano davvero a prendere il sopravvento.

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Ritorno a Seoul: una scena del film

O almeno, fino al brivido di un finale talmente potente nella sua semplicità da farci restare attoniti. Non lo sveliamo, ci mancherebbe, tuttavia è notevole il carico che svuota il regista, francese ma di sangue cambogiano, che per Ritorno a Seoul (presentato a Cannes nel 2022) ha preso l'idea dall'esperienza vissuta da una sua amica adottata, riportando l'incontro con il padre biologico sudcoreano in un documentario del 2011, Golden Slumbers. Un incontro che ha scosso Davy Chou, dandogli l'eccezionale materiale narrativo per un film intimo eppure universale. Così universale che, a guardar bene, potrebbe raccontare la condizione umana, sospesa, ineluttabile e sfuggente. In qualche modo, sorprendente nella sua altalenante e incontrollabile tragicità.

Ritorno a Seoul: la trama del film

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Ritorno a Seoul: una scena del film

Ogni rivelazione inizia per caso. Ma se il caso non esiste, allora la casualità si trasforma nel destino. Lo stesso destino che proviamo a "fregare", anticipandolo o eludendolo. Facendogli credere che nulla può scalfirci. Per questo, Ritorno a Seoul è un film di sostanza e di apparenza. Opposti che vengono trascritti da Davy Chou in Freddie, nata in Corea del Sud ma subito dopo adottata da genitori francesi. Interpretata da Park Ji-min, venticinque anni dopo si ritrova "per sbaglio" nella "sua" Seoul, dopo che un volo per Tokyo è stato cancellato. Freddie è francese. Si sente francese. Eppure, l'arrivo in Corea sembra pizzicarle i sentimenti, soprattutto quelli tenuti rinchiusi, anestetizzati.

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Ritorno a Seoul: una scena del film

Spinta dall'amica Tena (Guka Han) - che le farà da guida in una Corea ormai iper-moderna - proverà, non senza dubbi, a contattare i suoi genitori biologici tramite l'Hammond Adoption Center. Le regole sono chiare: l'agenzia può inviare solo due telegrammi ai famigliari (sì, nell'era di internet). Qualora dovessero rispondere di non voler incontrare la ragazza, la Hammond non può fare più nulla. Ecco, la sceneggiatura, scritta dallo stesso Davy Chou, si estenderà poi per altri otto anni (ad un certo punto appaiono pure le mascherine...), rimarcando le altalenanti evoluzioni di Freddie, incerta tra un padre ritrovato (con cui fatica a relazionarsi, dedicandogli solo smorfie e non sorrisi), tra la sua identità adottiva e con una madre non ancora rintracciata.

La condizione umana in un grande film

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Ritorno a Seoul: una scena del film

Dietro la storia anormale di una ragazza adottata (e che brava Park Ji-min), Davy Chou riassume lo spazio e il tempo in un film che esalta l'inaspettato, e l'incontrollabile. Lo esalta ponendo lo sguardo su Freddie, protagonista che, scena dopo scena, esplora tutte le possibilità che la vita le avrebbe potuto dare. E lo fa gestendo al meglio le immagini, gli umori, i rumori e i ritmi (grande fotografia di Thomas Favel, in grado di elevare i neon di una Seoul quanto la livida atmosfera lontana dalla Capitale, e quindi lontana dalla modernità), e poi ancora gestendo l'identità sfilacciata di una ragazza sperduta in una cultura che le appartiene biologicamente. La stessa cultura che, poco alla volta, come farà lo stesso regista, imparerà a destreggiare, se non a conoscere, forse ad amare. Dietro, forte e preponderante, c'è la figura materna, resa dal film una sorta di inafferrabile spettro, e che forse indirizzerà inconsciamente la sopravvivenza e la resistenza emotiva della ragazza.

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Ritorno a Seoul: una scena del film

Se i riflessi sociali che hanno a che fare con i ragazzi adottati sono l'architettura portante (squarciando il nostro giudizio sui genitori: relegare i figli ad una vita misera, oppure offrirgli una drammatica opportunità di realizzazione, lontano da loro?), Ritorno a Seoul riflette su tutti coloro che sopprimono le proprie emozioni, su coloro che non distinguono i sogni dall'amore, bloccando la vita prima che la vita possa controllarli. Una condizione umana dormiente, assopita. Fingendo di vivere, e quindi mutare senza evolversi davvero, Freddie è il minimalismo emozionale che non può tollerare l'incontrollabile. Ma, in un gioco amaro e beffardo, svagato nel sue distruttive svolte, Davy Chou concentra le emozioni (di Freddie, e le nostre) proprio per quell'epilogo che vale l'intera visione, esaltando una glaciale delicatezza che supera la finzione cinematografica per diventare glaciale e disperata realtà.

Conclusioni

Il caso e il destino, la vita e le emozioni sopite. Dietro Ritorno a Seoul, come abbiamo scritto nella nostra recensione, c'è un grande film che esplora in modo asciutto e orizzontale la condizione umana, e quanto la vita stessa sia impossibile da controllare. Basti pensare al meraviglioso e struggente finale.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • Park Ji-min, protagonista credibile.
  • La storia...
  • ... e il suo svolgimento su più anni.
  • Il finale. Bellissimo e distruttivo.
  • I colori di Seoul.

Cosa non va

  • Forse, dura 10 minuti di troppo.