Recensione Into Eternity (2010)

Il regista danese Michael Madsen ci accompagna nelle profondità di Onkalo, sito di stoccaggio per le scorie radioattive in costruzione in Finlandia, per stimolare una riflessione sul futuro della civiltà umana e sul valore della nostra eredità culturale.

Ricordatevi di dimenticare

Quello relativo all'impiego dell'energia nucleare è un dibattito che nessuno può permettersi di ignorare. Ci si preoccupa del presente, di come rendere più sicure le centrali esistenti, e del futuro, dell'eventuale abbandono dell'energia atomica, già messo in calendario da alcuni Stati, e di come sarà soddisfatto il fabbisogno energetico mondiale senza l'apporto di questa tecnologia, destinata comunque a decadere con l'esaurirsi dell'uranio. Molto meno interessante sembra essere il passato, un passato che però, nel corso dei decenni, ha prodotto un quantitativo di scorie nucleari stimato intorno alle 250mila tonnellate, momentaneamente parcheggiate in vasche piene d'acqua, in attesa di una soluzione definitiva. Solo la Finlandia, finora, sembra aver preso seriamente a cuore il problema, progettando un impianto di stoccaggio sotterraneo che, entro la metà del prossimo secolo, dovrebbe essere completato e in grado di ospitare tutta la spazzatura atomica del Paese, che costituisce comunque una frazione infinitesima di quella totale.

Il regista danese Michael Madsen (omonimo dell'attore-feticcio di Tarantino) si è immerso nelle profondità in costante avanzamento di Onkalo (letteralmente "luogo nascosto" in finlandese) per suggerirci una serie di interrogativi e riflessioni su come la civiltà contemporanea possa rapportarsi con il futuro. Le scorie radioattive cessano di costituire un pericolo per l'uomo solo dopo un periodo di centomila anni, e Onkalo è quindi progettato per resistere almeno dieci volte più a lungo del manufatto attualmente più longevo: ma come fare a scongiurare l'ingresso nella struttura da parte di qualcuno che probabilmente parlerà una lingua diversa da tutte quelle attuali e che forse non sarà nemmeno in grado di decodificare i nostri simboli? Scienziati, tecnici, rappresentanti delle autorità hanno cercato una risposta a questa domanda, ma l'eternità fa troppa paura per consentire una previsione razionale, o anche solo in qualche misura scientificamente attendibile. Madsen sovrappone quindi, ai contributi di progettisti e studiosi, un proprio spazio in cui, da un'oscurità che tanto ricorda la nostra ignoranza, si rivolge direttamente a un ipotetico discendente, contro tutte le aspettative penetrato dentro Onkalo. Il suo "Non dovresti essere qui", oltre che a salvaguardare la sua incolumità, è forse l'ultimo tentativo di preservare l'uomo del futuro dal peso della verità e dalle responsabilità della memoria: quanto e cosa può dire una discarica di rifiuti tossici del mondo attuale, nel probabile caso in cui sia l'unico documento che lasceremo di noi attraverso i millenni? Nonostante tutti gli avvertimenti ipotizzabili, tra cui il più potente è una riproduzione de L'urlo di Munch, non ci sono garanzie che questi vengano compresi e, soprattutto, ascoltati. L'uomo, ed è la sua grandezza ma anche la sua maledizione, ha fame di conoscenza, e ha già dimostrato più volte nella storia di non sapersi fermare a valutare le conseguenze dei propri atti. Meglio sarebbe, forse, dimenticare, far sparire Onkalo dalla faccia della terra, non marcarlo con simboli che possano conferirgli valore, sperando che nessuno lo scopra mai.
Onkalo, scavato nelle nere, umide profondità della roccia di cui Madsen ci documenta ogni eco, vuole in definitiva obliterare il lavorio incessante con cui la civiltà dei camici bianchi e degli ambienti sterili si sta esaurendo per regalarci l'illusione di essere all'apice del progresso, e restituire il mondo al silenzio della foresta, a un'umanità con la fedina penale pulita. Questo continuo gioco di contrasti tra l'oscuro spazio del futuro, dalle forme e dai rumori ancora indefiniti, e lo spazio del presente, fatto di suoni sintetizzati e di luoghi asettici che tanto ricordano le visioni kubrikiane di 2001: Odissea nello spazio, conferisce all'opera di Madsen un fascino inquietante. La parola, la spiegazione scientifica che tutto dovrebbe risolvere, mostra il fianco e rivela la sua inadeguatezza, lascia spazio alle immagini e, inevitabilmente, al silenzio. Ma è possibile leggere nel finale una nota di speranza: gli operai che avanzano nel sottosuolo, scavando i tunnel di Onkalo, sono forse l'emblema di tutta un'umanità che, nonostante l'inconoscibile, avrà comunque il coraggio di andare avanti.

Movieplayer.it

3.0/5