RFF 2013: Atom Egoyan e la TV rivalutata

Il regista canadese è intervenuto all'edizione 2013 del Roma Fiction Fest per parlare dei suoi nuovi progetti artistici e del ritorno al piccolo schermo dopo i tempi dei suoi esordi.

L'attività stampa di Atom Egoyan comincia con un appello accorato che invita i giornalisti a dare visibilità alla drammatica vicenda del regista canadese John Greyson, trattenuto dall'estate scorsa nelle prigioni del Cairo senza accuse. Il collega e compatriota autore di una filmografia sofisticata, tra cui spicca il dolente Exotica, è ospite del RomaFictionFest - ieri ha anche tenuto una masterclass a Viterbo - per parlare dei suoi nuovi progetti artistici e del ritorno al piccolo schermo dopo gli esordi come regista di Ai confini della realtà e Alfred Hitchcock presenta.

Il suo ultimo film, Devil's Knot, è stato presentato da poco al Toronto Film Festival, ma lei è già impegnato con il montaggio di The Captive.
Sì, Devil's Knot rappresenta la mia prima opera incentrata su un fatto di cronaca realmente accaduto e che sconvolse l'America vent'anni fa: tre bambini di un paesino dell'Arkansas furono ritrovati morti, con mutilazioni dei genitali, nudi, semi annegati. Non furono rinvenuti dna, impronte, sangue e gli abitanti della cittadina dove era avvenuto il delitto iniziarono una caccia alla streghe per soddisfare il bisogno di incolpare qualcuno. In galera finirono tre giovani outsider, oggi rilasciati dopo una sentenza che condannava uno di loro la pena di morte. È un film rischioso perché non ha un terzo atto, non c'è un finale che riveli i veri colpevoli.

Perché ha accettato questa regia?
Mi sono stupito del fatto che per raccontare una storia così intimamente americana sia stato interpellato io, un canadese, ma ho accettato per tre motivi. Il principale era l'occasione di fare un film che fondesse elementi thriller, legal, melodrammatici, documentaristici e procedurali. Poi avevo a disposizione un cast hollywoodiano nel quale figuravano Colin Firth e Reese Witherspoon. Infine mi interessava mettere personaggi di questo calibro nelle posizioni di individui alla completa mercé di fatti verso i quali erano impotenti.

E di The Captive cosa può anticiparci?
Prima lo avevo chiamato Queen of the Night, è un soggetto originale ora in fase di montaggio dove i protagonisti sono Ryan Reynolds - che posso dire ci ha regalato un'interpretazione eccezionale -, Scott Speedman e Mireille Enos.

Ci sono attori televisivi quindi. Cosa ricorda dei suoi esordi come regista di Ai confini della realtà e di altre serie?
A vent'anni ero agli inizi di carriera e pensavo solo a fare film, ma avevo bisogno di soldi per cui consideravo la televisione un mezzo per conquistare un altro media. Negli anni 80 ho girato il pilota della serie di Venerdì 13, ho girato un episodio di Ai confini della realtà e anche Alfred Hitchcock presenta. Anni dopo David Lynch ha creato I segreti di Twin Peaks e ha rivoluzionato il mondo della televisione, costringendomi a rivedere le mie posizioni. Nella mia gioventù avevo visto serie eccezionali come Il prigioniero ma come molti miei coetanei non riuscivo a considerare il piccolo schermo al livello del grande. Mi interessava solo fare film, tant'è che quando HBO mi offrì di sviluppare una serie dal mio film Il perito mi limitai a concedergli i diritti e non pensai neanche di occuparmi personalmente della realizzazione.

Ora ha cambiato idea.
Si, se mi fossi degnato di seguire di più le serie avrei scoperto prima capolavori come Mad Men, Breaking Bad o Six Feet Under. Ricordo che sei o sette anni fa ero preoccupato che mio figlio leggesse poco e mi misi d'accordo con lui che se avesse letto Delitto e castigo io avrei guardato I Soprano. La rivelazione.

Quindi adesso si dedicherà alla serialità?
Ho un paio di progetti in mente: il primo riguarda Il perito e l'idea di riprenderne in considerazione la produzione seriale, e l'altro sarebbe un adattamento di Due settimane in un'altra città, opera letteraria Irwin Shaw già trasposta in film da Vincent Minnelli. Francamente ritengo che per un regista cinematografico sia difficile passare al piccolo schermo, questo perché secondo me il film ha la struttura di un racconto, mentre le serie quella di un romanzo. Il primo deve soddisfare delle aspettative precise del pubblico che sono molto diverse dal secondo. Per gli scrittori ritengo sia più facile, guarda caso un regista come Neil Jordan è riuscito trovarsi bene in tv.

Parla di The Borgias?
Sì, mi ricordo che mi aveva raccontato delle difficoltà incontrate nel portare la storia al cinema, poi è riuscito a farla diventare una serie televisiva e si è adattato grazie al fatto che oltre a essere un regista è anche uno scrittore.

Perché gli americani hanno la tendenza a rifare le serie di successo europee?
Il remake si fa per una questione di lingua o di cast, e perché gli americani hanno la mania del controllo. Ci sono ottime serie come The Killing e In Treatment che sono remake di successo. Il problema è che gli americani tendono a chiedere a un creatore di rifare una sua serie ma danno per scontato che non gli lasceranno alcun margine di controllo. Il controllo sarebbe loro, mentre altrove questo non succede, il creatore manterrebbe i diritti.

I canadesi sono spesso registi e attori in serie americane per non parlare delle location spacciate per luoghi degli Stati Uniti.
Si, gli americani non accettano che una serie sia dichiaratamente ambientato fuori dai loro confini e noi glielo concediamo perché colti dalla frenesia di lavorare nel settore dell'intrattenimento.

Tornando ai suoi progetti seriali, intende diventare uno showrunner?
In realtà la prospettiva mi intimidisce, penso che mi affiderei a una writer room dove sviluppare idee con altri sceneggiatori con la consapevolezza che una mente chiusa a ragionare da sola non lavora bene quanto più menti che si confrontano.