"E loro vissero felici e contenti". È questa la battuta che apre Resistance - La voce del silenzio, il film disponibile dal 23 giugno su tutte le maggiori piattaforme on demand e che racconta gli anni della militanza nella Resistenza francese di Marcel Marceau, il famoso mimo francese prima che diventasse un celebre attore, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Una battuta che sembra presagire la dimensione favolistica della storia, basata sui fatti realmente accaduti, e accoglie una prospettiva ad altezza bambino. Evitando gli abusati cliché dei biopic, che tendono a celebrare l'artista e il suo talento, il film con protagonista Jesse Eisenberg si concentra sul Marcel altruista e umano lontano dall'immagine del clown Bip a cui siamo abituati. Scelta coraggiosa e atipica che si riflette nella struttura del film: solo in un paio di occasioni vediamo all'opera il talento artistico di Marcel Marceau come mimo, all'inizio della storia quando ci viene presentato e intrattiene i bambini orfani di cui si deve prendere cura e alla fine del film. Introdotto dal generale Patton (interpretato da Ed Harris), Marcel si presenta di fronte ai soldati alleati e racconta loro, attraverso i gesti, la storia che abbiamo appena finito di vedere. Ed è proprio questo finale del film che, senza l'utilizzo dei dialoghi, lascia senza parole.
"Il mio corpo non mi dà scelta"
Un dono o un fardello? Marcel sembra destinato a diventare un attore, a usare il suo corpo per esprimersi, a vivere in simbiosi con l'arte. Il padre, a cui è affezionato, sembra non comprendere il motivo per cui il figlio passi il suo tempo nei cabaret o a dipingere volti di clown. Lo stesso Marcel non sa spiegarlo a parole: è qualcosa di innato di cui sente il bisogno, lo stesso bisogno che spinge tutti noi ad andare in bagno durante la giornata (userà proprio quest'esempio per spiegare al padre la necessità di esprimersi attraverso l'arte). Marcel che sembra fuori dai binari e viene considerato come un outsider poco affidabile, anche da parte di Emma, la ragazza che forse prova qualche sentimento speciale per lui. Eppure quello di Marcel sembra un dono essenziale, capace di tirare su il morale delle persone nei momenti più duri (i bambini orfani che hanno bisogno di ridere, Emma quando deve essere consolata) e rendere lo stesso Marcel meno spigoloso ed egocentrico e più umano. Il suo disagio a relazionarsi con le altre persone (anche se sembra socievole, il personaggio nasconde un piccolo lato misantropo) viene meno, la sua incapacità a trovare le parole giuste si trasforma nell'atto empatico più puro, quello gestuale, un linguaggio universale comprensibile da tutti e capace di colpire più delle parole.
I baffi di Chaplin
All'inizio della sua carriera, Marcel si esibiva nei palchi dei cabaret imitando, con tanto di baffi finti, le comiche e la gestualità di Charlie Chaplin. È curioso notare il legame tra i due attori, un legame che riesce a collegare questo Resistance - La voce del silenzio e un classico del cinema di Chaplin, Il grande dittatore. Nel raccontare due storie di personaggi che resistono al regime nazista (per quanto nel film di Chaplin la satira maschera i veri riferimenti storici trasformando la Germania in Tomania il cui dittatore è Adenoid Hynkel) i due film sembrano essere l'uno lo specchio dell'altro. Il personaggio del barbiere ebreo del film del 1940 è un personaggio prevalentemente muto che comunica attraverso il linguaggio del corpo, come da tradizione di Charlot (anche se in questo caso, nonostante la somiglianza fisica, non si tratta del vagabondo che ha fatto la fortuna di Chaplin). Solo nel finale del film, con quel commovente discorso all'umanità, Chaplin dà voce alle sue speranze di un futuro luminoso una volta sconfitto il Male. Al contrario, il personaggio di Marcel Marceau, in questo film, è un personaggio che si esprime principalmente attraverso la parola durante il corso della storia se non che, proprio nella scena finale, riesce brevemente a riassumere tutta la sua esperienza (e il film che abbiamo appena visto) in maniera muta, solo attraverso la gestualità del suo corpo. Ecco che, come quel monologo del barbiere ebreo posto a fine film ne Il grande dittatore appariva come un momento forte, di rottura, rispetto a come ci eravamo abituati al personaggio, così il finale di Resistance trova la sua forza nel mostrare, finalmente, e non nel raccontare a parole. Un legame che diventa duplice, quello tra Marceau e Chaplin, essendo l'attore e regista inglese molto legato alle caratteristiche cinematografiche del muto e abbastanza testardo da continuare a proporre il suo repertorio nonostante il cinema fosse già diventato sonoro. Chaplin è universale e non invecchia proprio perché si lega al linguaggio della mimica e dei gesti e Marceau erediterà questa caratteristica. I baffi finti di Chaplin che nel film Marceau porta sempre con sé acquistano, di conseguenza, un valore più prezioso di un normale oggetto di scena: sono un simbolo di coraggio, di resistenza, capaci anche di salvare la vita.
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Un "No" come ritratto
Curioso notare come il vero Marcel Marceau fu protagonista di una delle gag più esilaranti de L'ultima follia di Mel Brooks, un film che omaggia l'arte del cinema muto e nel quale Marceau, dopo l'ennesima dimostrazione del suo talento, pronuncia l'unica battuta del film al telefono: un deciso e severo "No". Anche in questo caso, la gag comica nasconde un omaggio agli attori capaci di usare il loro corpo per raccontare una storia e, di conseguenza, alla vera forza del cinema: l'immagine in movimento e il montaggio delle immagini sono le due caratteristiche primordiali e fondamentali del cinema sin dalle sue origini. Ma dietro a quel "No", che nel film del 1976 è così esilarante, si nasconde il perfetto ritratto della persona che lo pronuncia e che, in questo film, riusciamo ad approfondire. Una battuta che nasconde la volontà a ribellarsi, a essere contrari (distrugge le regole di un film completamente muto - e quindi fuori tempo massimo - per parlare pur essendo un mimo!), a resistere, il "No" pronunciato dal mimo francese è il racconto della sua vita durante la Seconda Guerra Mondiale.
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La voce forte del silenzio
Il finale di Resistance non è solo un elogio alla forza del talento di Marceau, capace di emozionare e raccontare attraverso il linguaggio del corpo, ma un elogio al potere delle immagini. Se durante il suo svolgimento il film sembra procedere su binari ben consolidati da un punto di vista narrativo, con molti dialoghi talvolta anche didascalici, il riassunto di quanto appena visto che Marceau mima di fronte alle truppe alleate è la dimostrazione di come il silenzio possa essere una voce molto più forte. Non si tratta, va detto, di un silenzio accondiscendente e di sottomissione: è un silenzio che risparmia le orecchie per parlare attraverso gli occhi e il cuore, un linguaggio comprensibile da ogni uomo, qualsiasi sia la sua provenienza e il suo background culturale (non dimentichiamo che nella prima parte del film, tutta la cultura che Marcel ostenta a parole non è recepita da chi lo sta ascoltando). È un inno al potere delle immagini, dove le parole non servono e vengono lasciate alla letteratura, compiendo quel processo iniziato da Chaplin e dal cinema muto, capace di riscoprire la forza di una voce che si esprime attraverso il corpo.