Recensione Titeuf, il film (2011)

Riportando con assoluta fedeltà la grafica originale del fumetto e la forte caratterizzazione dei personaggi, Zep non dimentica certo un elemento fondamentale come quello del duplice sguardo con cui raccontare le idiosincrasie degli adulti attraverso l'interpretazione a volte fin troppo fantasiosa dei più giovani.

L'età dell'innocenza. O forse no

Il mondo dei bambini è molto più complicato di quanto i genitori vogliano ammettere. In continua espansione e determinato dall'incoscienza della non conoscenza, questo misterioso universo vive di continue sperimentazioni ispirate spesso dal comportamento degli adulti che, nonostante siano custodi di una maggiore esperienza, non sempre sembrano essere meno dubbiosi dei loro figli. A evidenziare il lato comico di questa particolare unione tra i due emisferi, però, è stato il disegnatore Philippe Chappuis, in arte Zep, che, dando vita al curioso Titeuf con tanto di ciuffo biondo a forma di uovo, ha utilizzato i suoi ricordi d'infanzia per dar voce ai più piccoli e lasciare loro la possibilità di esprimere un indulgente giudizio sul curioso mondo degli adulti. L'avventura ha inizio nei primi anni novanta quando, dopo aver sperimentato senza troppo successo altre tematiche, Zep conquista mercato editoriale e appassionati con il primo albo intitolato Si salvi chi può. Da quel moneto il giovane Titeuf ed i suoi compagni di avventure vengono proiettati verso un successo imprevisto, dimostrando che c'è ancora spazio per l'innocenza e l'ironia di uno sguardo infantile ma mai superficiale. Sarà per questo che, dopo essere diventato una delle uscite editoriali più importanti ed essere stato inevitabilmente strasformato in una serie tv con tre stagioni all'attivo, il ragazzino più curioso e acuto di Francia non poteva che approdare sul grande schermo in tutto il suo splendore con Titeuf, il film.


A dirigerne le gesta, naturalmente, è il suo creatore originale mentre ad accompagnarlo nell' ennesima sfida quotidiana sono gli amici inseparabili come l'occhialuto Manu, il più "maturo" Hugo, Hervé, meglio conosciuto come vomitino, e da Jean-Claude, il re del piercing sui denti. Questa volta la questione da risolvere gira intorno ad un argomento tanto fondamentale quanto misterioso: le regole dell'amore.Tutto prende il via da un dramma esistenziale fondamentale, uno di quei traumi da cui un bambino e un adulto invariabilmente non riescono a riprendersi con facilità, ossia essere sistematicamente ignorati dall'oggetto della propria passione. Come fare, dunque, per attirare l'attenzione dell'amata nonostante goffaggine e cattiva sorte sembrano remare decisamente contro ogni speranza? Titeuf non sa proprio come rispondere a questo quesito, ma è pronto a tutto pur di farsi invitare alla festa di compleanno di Nadia, la bellezza indiscussa della classe, per rivelarle la profondità dei suoi sentimenti. Così, dopo molti tentativi non andati a buon fine, decide di prendere ispirazione dal comportamento dei genitori. Ma, con sua grande sorpresa, si trova spettatore di una crisi famigliare con tanto di pausa di riflessione e madre momentaneamente in fuga. Al giovane Titeuf non rimane altro che un padre mesto con cui condividere la casa e un dubbio assillante: come riportare in vita un amore?

Ed è proprio nella formazione e definizione di una doppia corsia narrativa che Zep nasconde il successo di questo film. Infatti, riportando con assoluta fedeltà la grafica originale del fumetto e la forte caratterizzazione dei personaggi, non dimentica certo un elemento fondamentale come quello del duplice sguardo con cui raccontare le idiosincrasie degli adulti attraverso l'interpretazione a volte fin troppo fantasiosa, ma non per questo priva di fondamenta, degli osservatori più giovani. In questo modo la nascita e, soprattutto, la gestione del sentimento è il cardine ideale intorno al quale far girare due generazioni che, pur attribuendo significati diversi e soluzioni completamente agli antipodi, vivono con uguale intensità il senso di sconfitta e la pena che nasce dall'essere rifiutati. Se poi il tutto viene gestito con un evidente senso del ritmo e una coinvolgente capacità di creare situazioni, si comprende come, in questo caso, l'utilizzo del 3D sia del tutto accessorio. Perché la straordinarietà di questo prodotto, apparentemente dalla forma classica, è nell'imprevedibilità e riconoscibilità dei suoi personaggi, per non parlare della capacità di mischiare le carte senza creare confusione o perdere di vista il risultato finale. In questo modo, dunque, mettere a contatto dei bambini con il linguaggio seduttivo degli adulti o far in modo che questi diventino le pedine inconsapevoli di piani innocenti ma certo non meno strutturati, lascia allo spettatore la libertà di ridere di sé stesso ed evidenzia la necessità di tornare a guardare i propri figli con maggior interesse.

Movieplayer.it

4.0/5