Recensione Solo per vendetta (2011)

Dopo aver conosciuto la notorietà con Il Bounty e aver continuato con pellicole come Senza via di scampo, La regola del sospetto e La rapina perfetta, Roger Donaldson firma una nuova avventura che, pur inserendosi nel filone dell'action con morale, non lascia sicuramente il segno per originalità e coinvolgimento

I giustizieri di New Orleans

Quando il desiderio di vendetta sovrasta il principio di giustizia, l'uomo rischia di diventare vittima delle sue stesse azioni. Una lezione, questa, che Will Gerard, tranquillo insegnante di letteratura in un liceo, deve aver teoricamente appreso dai grandi romanzieri americani ma che, una volta applicata alla propria vita, assume un significato del tutto imprevedibile. Così, quando l'aggressione e lo stupro ai danni della moglie Laura arriva a sconvolgere la sua esistenza tanto da lasciarsi sedurre dalle offerte di giustizia immediata di un misterioso sconosciuto, Will inizia a comprendere a sue spese la follia omicida che si nasconde dietro l'impeccabile e rassicurante eleganza del suo protettore. In questo modo, in una città magica e misteriosa come New Orleans dove nulla è ciò che sembra, un uomo qualunque si trova coinvolto nelle attività illegali di un'organizzazione apparentemente invisibile che, dopo essersi insinuata in ogni strato della società, elargisce soddisfazione alle vittime inermi di violenza metropolitana legandole a una confraternita votata alla vendetta più cieca e sanguinaria. Un patto estorto subdolamente che fa di Will prima pedina e poi vittima sacrificale in fuga nell'estremo tentativo di vincere un gioco dell'assurdo e riacquistare, così, il controllo sulla propria esistenza nel nome dell'amore.


Dopo aver conosciuto la notorietà negli anni ottanta con Il Bounty e aver continuato con pellicole come Senza via di scampo, La regola del sospetto e La rapina perfetta, Roger Donaldson sembrerebbe avere tutte le carte in regola per raccontare l'evoluzione e il tormento di un uomo perbene di fronte alle lusinghe della vendetta privata. Una fiducia, però, che il regista australiano non ha onorato portando a termine un prodotto che, pur inserendosi nel filone dell'action con morale, non lascia sicuramente il segno per originalità e coinvolgimento. Probabilmente affascinato dalle problematiche di coscienza sollevate già a suo tempo da Il giustiziere della notte, Donaldson non è riuscito ad andare oltre la strada già tracciata da Michael Winner, se non utilizzando il prototipo di un eroe più sfocato e politicamente corretto di quanto sia mai stato il Paul Kersey di Charles Bronson.

Così, nel tentativo di far presa su un rinnovato spirito civico, il regista ha lavorato sulla sceneggiatura di Robert Tannen aggrappandosi con costanza a una serie d'immagini e atmosfere precostituite che, oltre ad avere lo svantaggio di formare i capisaldi di un genere fin troppo rimaneggiato, non fanno altro che confrontarsi con la visione di Winner, sicuramente più estrema e coraggiosa. Sostituita la violenta Chicago con l'altrettanto storicamente pericolosa New Orleans e riportata agli onori delle cronache cinematografiche l'inefficienza e l'inefficacia della struttura giuridica, Solo per vendetta traccia un percorso umano costellato quasi metodicamente da cliché narrativi di grande prevedibilità che minano con testarda perseveranza il principio di suspense sul quale si dovrebbe reggere l'intero apparato narrativo di un thriller in action.

Dalla salda unione coniugale esaltata fin dai primi frame, passando attraverso il momentaneo desiderio di vendetta per arrivare all'inevitabile ribellione al sistema criminale con tanto di amicizie messe a dura prova, lo spettatore viene trascinato per inerzia attraverso una serie di situazioni di cui si conoscono già l'antefatto e lo sviluppo grazie ad un intreccio poco intricato e definito. A peggiorare la situazione narrativa, votata a una chiara semplificazione, contribuisce anche il sottoelemento dell'indagine giornalistica che, pur potendo apportare nuova linfa vitale alla vicenda e diventare l'asse su cui far girare l'intero progetto, è relegata al ruolo di casualità da utilizzare come specchio su cui far riflettere la coscienza scarsamente tormentata del protagonista.
Ma ciò che danneggia la pellicola più di qualsiasi scelta artistica o registica è l'immagine di un eroe fastidiosamente invisibile, la cui rettitudine è indotta in tentazione solo in superficie mentre la sua personalità impallidisce sempre più nel costante tentativo di dimostrare la propria incrollabile correttezza. Così, nel tentativo di consegnare il ritratto di un essere umano giusto e pensante, Nicolas Cage non si offre certo come veicolo di emozioni. Inappuntabile e moralmente retto anche nei momenti più critici, il suo Will non sembra cadere mai vittima delle debolezze umane, non cede il passo all'istinto evitando, in questo modo, qualsiasi gioco identificativo con un personaggio privo di variabili emotive e facendo rimpiangere, almeno dal punto di vista cinematografico, la contestabile ma riconoscibile complessità di un uomo capace di trasformarsi in giustiziere per amore.

Movieplayer.it

3.0/5