La lotta di un padre per suo figlio
"Finché morte non ci separi": è una formula che nemmeno si usa più, eppure è la frase che più rimane impressa, la più esplicativa della virtuale inscindibilità del matrimonio. Ed è anche quella che spesso chi è lasciato chiama in causa per gridare tutta l'ingiustizia a cui si sente condannato, tutta la frustrazione di chi se la prende con le parole perché con i fatti non se la può prendere, visto che ormai da fare non c'è più nulla. Anche Antonio invoca le parole pronunciate davanti all'altare per tentare di dare un senso all'abbandono di Diana, avvenuto, dal suo punto di vista, dall'oggi al domani, e senza ragione: mentre, a sentire le confessioni di lei alle amiche e colleghe, la sua insoddisfazione dura da tempo, e, nonostante i ripetuti tentativi di dare una scossa al loro rapporto, nulla è valso a proteggere l'amore che la univa ad Antonio. Antonio che è ora costretto ad alloggiare in una squallida pensione, e a passare un assegno di mantenimento che gli lascia ben poco con cui sopravvivere. Tutto questo non ha molta importanza, se può ancora vedere il figlio Andrea e passare del tempo con lui, nonostante il fallimento del suo matrimonio. Ma se sei un padre separato devi sottostare a molte regole, e rigare sempre dritto: e, tormentato dalla necessità di riconquistare la tua ex, non hai sempre la lucidità per obbedire ai cavilli di una legislazione un po' troppo intransigente. E' così, difficoltà dopo difficoltà, rifiuto dopo rifiuto, che la vita per Antonio diventa sempre più difficile, tanto da fargli perdere il lavoro e mettere a repentaglio anche il rapporto con il figlio.
Quello dei padri separati è un punto di vista ancora spesso inascoltato, e che merita invece una riflessione, non soltanto a livello sociale ma anche e soprattutto a livello legislativo. Il tentativo della Rai di portare alla luce le problematiche di un'importante fetta della popolazione italiana è quindi degno di plauso, specie se nel farlo ci si affida a uno dei volti più amati della fiction nostrana, quello di Beppe Fiorello che, insieme all'altrettanto convincente Ana Caterina Morariu, dà vita a un personaggio di grande intensità e realismo. Merito anche di una sceneggiatura che ha saputo lavorare bene sui protagonisti della storia: sebbene sia ovviamente Antonio ad accattivare le simpatie dello spettatore, con il suo carattere passionale fino all'ira e il suo amore totalizzante per la famiglia, che non smette di guidarlo anche dopo essere stato la causa di fatali leggerezze, anche Diana non è semplicemente una cattiva monocorde, astiosa e vendicativa, ma è una donna che ha sofferto e che soffre, e la cui durezza, sebbene a volte appaia semplicemente cinica, è invece frutto di una reazione profondamente umana. Non si tratta, quindi, di un prodotto smaccatamente maschilista: maschile è la prospettiva dalla quale i fatti vengono raccontati, ma che non per questo assolve Antonio e fa di Diana un demonio. Meno interessanti sono invece i personaggi secondari, sulla cui caratterizzazione si poteva forse spendere qualche attenzione in più: il confronto tra l'amica frivola e quella più tradizionalista, tra il collega responsabile e quello sempre pronto allo scherzo sembra più inscenato per mantenere una sorta di par condicio tra due visioni estreme della vita che per apportare un contributo proficuo alla narrazione. Questa leggerezza, insieme ad una certa deriva melodrammatica a cui si abbandonano alcune sequenze, impedisce al lavoro di Lodovico Gasparini di convincere fino in fondo, sebbene questa miniserie rappresenti comunque un'occasione importante, per la televisione pubblica, di riappropriarsi del suo ruolo sociale, mettendo sul piatto una storia che molto ha di verosimile e dalla quale dobbiamo prendere spunto per ripensare una visione della separazione e dell'affidamento dei figli forse un po' troppo facilona.Movieplayer.it
2.0/5