Recensione Sangue (2013)

Molti hanno gridato allo scandalo parlando di pornografia del dolore, ma ciò che fa Delbono va ancora oltre. La vera rivoluzione di Sangue è la 'quotidianizzazione' della morte.

Tutti contro Pippo

Pippo Delbono non è un artista né un uomo facile. La sua arte mescola immagini roboanti, poesia del quotidano, ascetismo orientale ed elogio della diversità; la sua persona persegue una costante ricerca della provocazione. Amato all'estero, pesantemente criticato in patria per vis polemica e assenza di filtri, Pippo è un enigma per molti. Il passaggio dal teatro al cinema, dove negli ultimi anni è divenuto uno degli attori più richiesti, coincide con la scelta di perseguire un discorso personale che intreccia utilizzo di tecnologie di ripresa leggere - anzi, quasi inesistenti visto che tutta la sua attrezzatura è costituita da un iPhone - e indagine nella realtà contingente. Come i precedenti lavori, Sangue nasce da questo incontro. Stavolta Pippo usa il suo telefonino per documentare la malattia e la morte dell'anziana madre Margherita, l'incontro con l'amico Giovanni Senzani, brigatista, ex criminologo, consulente del Ministero di Grazia e Giustizia durante il sequestro Moro, figura oscura e ambigua che conserva segreti oscuri della nostra storia mai rivelati, e le rovine de L'Aquila post-terremoto poste in apertura e chiusura del film a creare una struttura circolare che rievoca mandala di tradizione buddista. Un cerchio posto a protezione e salvaguardia del suo contenuto.

Il contenuto del film di Delbono è la messa in scena del dolore, l'oggettivazione della morte nell'istante stesso in cui accade, in tempo reale. Molti hanno gridato allo scandalo parlando di pornografia del dolore, ma ciò che fa Delbono va ancora oltre. La vera rivoluzione di Sangue è la 'quotidianizzazione' della morte. Il regista infrange il tabù mostrando cosa accade nella stanza di un'anziana malata, immobilizzata in un letto, avvolta in un pigiama, costretta ad assumere medicine e poi ancora in ospedale immortalandone gli ultimi momenti di vita. Non contento, Delbono vaga con il suo telefonino per la camera ardente dell'ospedale in cui giacciono le salme dei pazienti per soffermarsi, infine, a lungo sul corpo della madre ricomposto per il funerale, ripreso in un long take di profilo, fino a mostrare la chiusura della bara. Momenti drammatici che tutti, purtroppo, abbiamo vissuto, ma che appartengono al rimosso, al non detto, a quella sfera intima e personale non condivisibile pubblicamente. Perché la morte, come il sesso, quando è reale è disturbante, scandalosa. E' pornografia. Il vero scandalo, forse, è trattare un argomento simile con un tono, malgrado tutto, lieve, delicato, naturale, come fa Sangue dove le lacrime e il sorriso si mescolano e dove l'uso improprio del telefonino diviene un egoistico modo di alleviare la propria pena personale trasformandola in arte e, di conseguenza, universalizzandola.
Non ci sentiamo di esprimere giudizi sull'opportunità delle scelte estreme compiute da Pippo Delbono. Possiamo solo riflettere sul risultato e sull'intento del regista di denunciare l'ipocrisia di un paese che lascia morire i suoi cittadini in una scuola che crolla per mancanza di manutenzione, ma si scandalizza di fronte alla visione della naturale conclusione dell'esistenza. A complicare il giudizio sul suo lavoro è, però, la presenza di una figura scomoda come Giovanni Senzani. Delbono sente la necessità di mettere in evidenza il parallelismo tra due mondi opposti. Il punto di contatto tra il suo cammino e quello del brigatista è l'esperienza comune della morte visto che, negli stessi giorni in cui si spegne la madre di Delbono, muore anche Anna, la compagna storica di Senzani. Le sue immagini al funerale laico di Anna sul mare non ce lo rendono più umano. I suoi interventi nel film assumono il sapore sgradevole di un tentativo di riabilitare la propria figura senza rinnegare il passato violento. La durezza di Senzani, le sue uscite controverse mescolate a raccontini simpatici (come quello delle zanzare che lo pungono da quando è diventato buono) sono oggettivamente discutibili. E ancor più lo è quella scelta di mettere a chiosa del film, prima del ritorno a L'Aquila, l'agghiacciante racconto dell'esecuzione di Roberto Peci, vittima delle BR uccisa a colpi di mitra, senza specificare che la morte è stata ordinata da Senzani come vendetta nei confronti del fratello di Roberto, primo brigatista pentito.
Va detto che Pippo Delbono lascia scorrere le immagini liberamente, e con esse le parole prounciate dall'amico senza intervenire, ma il posizionamento del racconto della morte di Peci lascia pensare. Dopo la visione del film è impossibile non chiedersi se la scelta di dare spazio a Senzani sia voluta consapevolmente per innescare la polemica o se Delbono abbia intrecciato negli anni un rapporto personale talmente stretto da superare ogni pregiudizio sul passato del brigatista. Questi dubbi gettano una luce oscura su Sangue eppure, con tutte le ambiguità e le perplessità del caso, il film riesce a toccare in profondità. Dalla visione non si esce indenni. Che crei un rapporto di vicinanza e comprensione, indigni o scandalizzi, Sangue è un lavoro che travalica il cinema nella forma e punta dritto alla pancia del pubblico. Pippo Delbono lancia la sua ennesima provocazione. Se il suo obiettivo è far discutere e riflettere la sfida, per il momento, è vinta.

Movieplayer.it

3.0/5