Ritorno a Zombieland
Il connubio tra cinema e videogiochi - nonostante i due media si siano più volte incrociati nel corso della loro reciproca evoluzione, in alcuni casi anche con risultati significativi e innovativi - non sembra ancora riuscire a decollare del tutto. Il problema principale è forse rappresentato dalla difficoltà nel rendere su grande schermo le caratteristiche di interattività, immersione e partecipazione tipiche dell'esperienza di gioco, finendo nella maggior parte dei casi per trasporre esclusivamente gli aspetti visivi e iconografici dell'immaginario videoludico, di solito messi in scena senza curarsi troppo di questioni come intreccio e sceneggiatura. Ciò, tuttavia, non pare frenare i produttori di Hollywood, che continuano a sfornare numerosi film tratti da videogames. Tra questi, la saga di Resident Evil è di certo una delle più fortunate in assoluto, sia dal punto di vista della sua longevità (la serie ha esordito nel 2002 e si concluderà, a quanto pare, con un prossimo sesto capitolo dal tenore apocalittico), sia per quanto riguarda l'incasso complessivo totalizzato ai botteghini internazionali, sia inoltre per quel che concerne la proliferazione su diversi media (oltre agli adattamenti live action, sono stati realizzati anche alcuni film d'animazione e un ciclo di romanzi).
Le ragioni del successo di questa conversione su celluloide del survival horror targato Capcom sono principalmente da attribuire, dietro la macchina da presa, all'esperto in materia Paul W. S. Anderson, tornato a dirigere la saga a partire dal quarto capitolo Resident Evil: Afterlife (primo film della serie ad adottare la tecnologia stereoscopica); e davanti la cinepresa, invece, a sua moglie Milla Jovovich, perfetta incarnazione della testosteronica ma sensuale protagonista Alice Abernathy.
Giunti a Resident Evil: Retribution, quinto episodio cinematografico delle gesta dell'androgina eroina in lotta contro la mefistofelica multinazionale Umbrella Corporation, tuttavia, è come se Paul W. S. Anderson avesse scoperto le carte del proprio armamentario registico, rinunciando del tutto a qualunque orpello di tipo narrativo e a qualsiasi pretesa di definizione psicologica dei personaggi, per mettere in scena esclusivamente le componenti più strettamente ludiche e cinetiche proprie del videogame. Al centro del plot di Retribution ci sono, infatti, degli scenari simili a livelli di videogioco, sorta di simulazioni olografiche progettate dalla Umbrella Corporation che ritraggono svariate ambientazioni: il centro di New York, quello di Tokio, la metropolitana di Mosca, e perfino una sorta di realtà alternativa, dove Alice è sposata e ha una bambina. La nostra eroina - spalleggiata dalla new entry Ada Wong (Li Bingbing), mandatagli in soccorso da Albert Wesker (Shawn Roberts) - deve attraversare questi scenari, facendosi strada come di consueto a colpi di artiglieria pesante in mezzo a orde di zombie famelici e sanguinari, fino a ricongiungersi con la squadra guidata da Leon Kennedy (Johann Urb), in cui figurano anche alcune vecchie conoscenze come Luther West (Boris Kodjoe). E, visto che si respira un'atmosfera un po' da reunion, ricompaiono anche gli antagonisti di un tempo: l'inquietante Regina Rossa, coadiuvata in questo caso da Jill Valentine (Sienna Guillory), ex amica di Alice sottoposta a una specie di lavaggio del cervello per effetto di un congegno elettronico; ma anche l'agguerrita Rain Ocampo interpretata da Michelle Rodriguez, contro cui la nostra eroina si batterà in un iperbolico duello finale. Paul W. S. Anderson, interessato sin dai tempi di Mortal Kombat (1995) a indagare le potenzialità del mezzo videoludico, porta in Resident Evil: Retribution fino alle estreme conseguenze l'estetica di derivazione digitale, dispiegando fino all'eccesso grottesco tutti i possibili artifici stilistici a sua disposizione: uno spettacolare incipit in "rewind", ralenty e slow motion come se piovesse, zoom frenetici, soggettive da "sparatutto", panoramiche a volo d'uccello; passando senza soluzione di continuità da immagini reali a virtuali (come le mappe che illustrano gli spostamenti dei personaggi). Senza timore del ridicolo costruisce sequenze al limite del surreale (i soldati sovietici zombie che invadono il Cremlino, due giganteschi mostri Majini che distruggono un taxi newyorkese a colpi d'ascia). Contamina immaginari fantascientifici, action e horror di varia provenienza (le citazioni vanno da Alien a Matrix), ma sempre con una predilezione per uno stile smargiasso e coatto (nello scontro conclusivo ci mostra perfino delle inquadrature a raggi x che ritraggono le ossa spezzate degli avversari). La stereoscopia aggiunge un'ulteriore dimensione baracconesca alla messa in scena, con effetti "pop-up" che simulano l'interattività e la partecipazione dello spettatore (zombie che spuntano all'improvviso, proiettili che bucano lo schermo, schizzi di sangue in primo piano). Il risultato complessivo è divertente, a patto di accettarlo per quello che è: una giostra pirotecnica senza alcuno scopo se non quello di intrattenere.
Su tutto e su tutti, però, continua svettare il fisico statuario di Milla Jovovich, che non sembra subire per nulla lo scorrere del tempo: rimane ancora lei l'effetto speciale più sorprendente.