Recensione Quartet (2012)

Un film leggero, brillante, sagace, mai retorico guidato da quattro grandi istrioni e da un irresistibile Michael Gambon, un film che rispecchia in pieno l'umorismo, l'umanità e l'amore per la musica di un grande attore che a quasi settantacinque anni si è deciso a fare il grande passo dall'altra parte della macchina da presa.

E rilucevan le stelle

Musica, natura, convivialità, allegria, malinconia. Questo si respira a Beecham House, una splendida casa di riposo per musicisti e cantanti in pensione immersa nella campagna londinese in cui non ci si annoia mai e non c'è mai un attimo di silenzio. Mentre i 'degenti' si preparano per il saggio musicale che ogni anno accompagna i festeggiamenti per l'anniversario della nascita di Giuseppe Verdi, il personale della grande villa di accoglienza per vecchie glorie della musica si prepara ad accogliere una nuova star. Per Cecily, Reggie e Wilfred il gossip tra i corridoi è pane quotidiano ma lo shock per loro sarà grande quando scopriranno che la star in questione non è altri che la diva della lirica Jean, ex-moglie di Reggie nonché pezzo mancante dello storico quartetto allontanatasi dal gruppo per una carriera da solista che saziasse il suo enorme ego. Quale occasione migliore per dimenticare il passato, riunirsi e tornare sul palco per omaggiare il Rigoletto e le opere del grande compositore italiano? Il problema è che Jean non riesce ad accettare con serenità lo scorrere del tempo e non ha alcuna intenzione di tornare a cantare a distanza di tanti anni per paura di non essere all'altezza. Toccherà quindi agli altri tre cercare di dissuaderla, ma il compito più faticoso toccherà a Reggie, che non è riuscito in tanti anni a superare il trauma della separazione né a smettere di amarla. Il tempo, si sa, guarisce tutte le ferite, ma quando c'è di mezzo l'orgoglio, la rivalità tra primedonne e la passione, allora nulla è diventa impossibile...


A Dustin Hoffman piace vincere facile ma non senza umiltà e passione. D'altronde perché strafare alla sua prima volta dietro la macchina da presa? Meglio andarci con i piedi di piombo e affidarsi all'enorme talento del cast, che senza troppo sforzo ha portato avanti la storia incarnando gli splendidi personaggi protagonisti in un trionfo di umorismo, gag e di quel sano sarcasmo grottesco che sdrammatizza sul ritrovarsi dopo tanti anni di gloria e successi nella scomoda condizione di grandi artisti sul viale del tramonto alle prese con gli acciacchi della vecchiaia ma sempre col sorriso sulle labbra e con nel cuore un grande amore per la vita. Quattro attori a ruota libera, quattro istrioni come l'austera Maggie Smith, la sensibile svampita Pauline Collins, un Billy Connolly in forma smagliante nei panni di un dongiovanni senza freni e un Tom Courtenay misurato e sfinito dalle delusioni d'amore.

Quartet è una commedia per gli occhi e per le orecchie, che ha il grande pregio di essere scritta in maniera impeccabile e di riuscire sapientemente a mescolare con la lirica di Verdi e Puccini con tematiche importanti come lo scorrere inesorabile del tempo e l'accettazione di se stessi. L'attenzione è focalizzata quasi per intero sullo smisurato talento degli attori protagonisti, che riescono a cucirsi addosso i meravigliosi personaggi nati dalla penna dello sceneggiatore Ronald Harwood, autore nel 1999 anche dell'omonima pièce teatrale da cui il film prende ispirazione, nonché di grandi film come Il pianista e Lo scafandro e la farfalla. Senza troppe pretese o velleità stilistiche Hoffman si lascia cullare dagli interpreti di questa bellissima e commovente storia scritta da Harwood che a sua volta prende originariamente spunto da un documentario del 1984 di Daniel Schmid, intitolato Il bacio di Tosca, che raccontava di come il grande compositore italiano avesse fondato nel lontano 1896 a Milano una casa di riposo ed accoglienza per musicisti e cantanti anziani che non avevano avuto troppa fortuna nella vita o non erano stati in grado di salvaguardare il loro denaro per assicurarsi un dignitoso 'terzo atto'.
Un film che Hoffman ha diretto lasciandosi guidare dalla sua grande esperienza attoriale, dall'istinto e dal magnetismo degli attori in scena, a suo dire troppo spesso sacrificati in attesa delle direttive di registi egocentrici incapaci di lasciare agli interpreti il tempo necessario per sentirsi a proprio agio e di godere appieno del momento fatidico del ciak. Un film leggero, brillante, sagace, mai retorico guidato da quattro grandi istrioni e da un irresistibile Michael Gambon, un film che rispecchia in pieno l'umorismo, l'umanità e l'amore per la musica di un grande attore, tra i più grandi della sua generazione, che a quasi settantacinque anni si è deciso, dopo esserci andato più volte vicino, a fare il grande passo dall'altra parte della macchina da presa. Una storia quella di Quartet che esprime tutta la sua voglia di imparare ancora, di migliorare, di non fermarsi di fronte all'incalzare del tempo, di scoprire i segreti dell'essere un vero musicista, un sogno nel cassetto lungamente inseguito dall'attore che sin da piccolo iniziò a studiare pianoforte per diventare un giorno un pianista jazz. Un piccolo delizioso film in cui il doppio premio Oscar Dustin Hoffman, senza velleità stilistiche né personalismi di alcun tipo, indossa il frac e afferra le bacchette per dirigere sulle note de La Traviata e del Rigoletto, in un crescendo di tonalità e di emotività, un'orchestra di eccellenti attori tra cui spiccano veri anziani musicisti capaci di commuovere lo spettatore mentre suonano e cantano lo spettacolo che li rese grandi in gioventù. Da non perdere, a questo proposito, i divertenti titoli di coda.

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3.0/5