Recensione Presto farà giorno (2014)

Ferlito, nonostante le atmosfere noir arricchite da tocchi onirici tanto cari al suo personale gusto cinematografico, dà voce ad una vena romantica d'altri tempi che trae ispirazione da ambientazioni shakespeariane

Il leone e la leonessa

La gioventù è un'arma a doppio taglio. Da una parte induce i suoi possessori a sentirsi abilitati all'incoscienza, dall'altra li condanna spesso ad una inaspettata solitudine dell'animo. Accade, così, che i ragazzi non abbiamo coscienza del tempo e, non riuscendo ad attendere, chiedono tutto e subito con dolorosa strafottenza per colmare dei vuoti personali. Qual è il rischio di questo atteggiamento? Che ripetano quasi ottusamente delle scelte solo in apparenza facili ma che li conducono continuamente in errore. Perché se si vuole crescere e superare l'età dell'inconsapevolezza ci si deve confrontare costantemente con le sfide della vita, con i bivii messi di fronte al proprio cammino e con la difficoltà di aspettare che faccia giorno, prima o poi. In fin dei conti non esiste uomo di valore senza una prova costante che lo spinga a mettere in pratica le sue risorse personali. Giuseppe Ferlito ha preso proprio questa condizione particolare della gioventù e, utilizzando le forme narrative ed estetiche del classico film di genere, l'ha trasformata nel tema portante del suo primo lungometraggio Presto farà giorno. Qui ripercorre i passi stentati di Mary e Loris, due ragazzi di estrazione sociale profondamente diversa, ma che condividono la stessa scarsa conoscenza nei confronti del mondo. La prima sembra preda di un malessere che nasce dal rapporto contrastato con la madre, il secondo sembra non avere alcun luogo di origine e provenienza, proiettando la sua esistenza verso uno sballo continuo e il sogno di una vita "migliore" a tutti i costi. Inevitabilmente troveranno la loro salvezza in luoghi diversi e affrontando prove capaci di mettere in luce la loro unicità, almeno fino a quando "non diventeranno un leone e una leonessa".


L'amore è
Secondo il film Love Story, capace di far piangere generazioni di romantici, l'amore vero significa non dover dire mai mi dispiace. A distanza di oltre quarant'anni, con atmosfere e protagonisti ben diversi, il senso ultimo del sentimento sembra non essere cambiato anche se alla base c'è una redenzione finale con tanto di confessione e proponimento con sguardo dritto in camera. Il fatto è, però, che dal 1970 ad oggi, gli innamorati, almeno quelli più adolescenziali e giovani, sembrano non poter fare a meno di giurarsi un attaccamento eterno capace di andare oltre ogni umana comprensione. Nel caso specifico di Mary e Loris il sentimento acquista, poi, un significato ancora più alto rappresentando l'occasione della vita e il riscatto sociale, almeno per uno dei due. In questo senso sembra che Ferlito, nonostante le atmosfere noir arricchite da dei tocchi onirici tanto cari al suo personale gusto cinematografico, dia voce ad una vena romantica d'altri tempi che trae ispirazione da ambientazioni shakespeariane.Tanto per dimostrare ancora una volta che il Bardo, con la vicenda di Romeo e Giulietta, ha lanciato a sua insaputa una moda senza tempo.

I misteri della mente e del corpo

Si dice che gli occhi sono lo specchio dell'anima ma è il corpo che, quasi inconsciamente, diventa lo strumento con esprimere le angosce di questo e esternarle a suo modo. Da qui il susseguirsi di crisi di panico, disturbi della personalità, atteggiamento borderline o un'anoressia che divora la consistenza della fisicità portandola all'invisibilità. Così, quando il regista e la sua giovane protagonista Ami Codovini entrano in contatto con questo universo di dispersi e rinchiusi, il film acquista una consistenza maggiore, uscendo fuori dai canoni prevedibili della giovinezza tormentata e mettendo a confronto i dolori adolescenziali con la realtà nuda e cruda di chi non sembra avere molta alternativa. In questo senso il personaggio di Nina "la secca", consumato dal rifiuto di se e dalla negazione della propria esistenza, diventa gigantesco, occupando uno spazio visivo ed emotivo sconvolgente. Perché non c'è nulla che sappia ricondurre alla realtà più di un corpo "deformato" dalla malattia dell'anima.

Movieplayer.it

3.0/5