Sonata dell'amor perduto
Tehran, 1958. Il celebre violinista Nasser Alì Kahn vive un momento di crisi profonda da quando il suo violino è andato distrutto. In un primo momento prova ad acquistarne uno nuovo, arrivando perfino a rintracciare un fantomatico Stradivari appartenuto nientepopodimenoche a Mozart, ma nessuno dei nuovi strumenti può restituirgli quelle sensazioni ed emozioni che l'hanno accompagnato per oltre venti anni. A quel punto decide di suicidarsi, ma visto che un musicista del suo calibro non può certo morire in modo violento o sconveniente, non gli resta altro da fare se non mettersi a letto ed aspettare la morte. Cosa che avverrà soltanto otto giorni dopo, ma non prima di averci dato la possibilità di conoscere i suoi familiari e amici, perfino l'angelo della Morte Azrael, e soprattutto il passato di Nasser Alì e il suo grande amore nascosto, non per un violino o la musica, ma per la bella Iràne.
Come per il precedente ed acclamatissimo Persepolis, Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud partono ancora una volta da una graphic novel della stessa Satrapi, ma per questa loro seconda opera decidono di fare un passo ulteriore e spostarsi dal terreno "amico" del disegno (seppure in movimento) a quello del live action. E fa sorridere il contrasto tra l'opera prima e questo Pollo alle prugne (in originale Poulet aux prunes, il piatto preferito del protagonista), ladovve infatti Persepolis era un dramma autobiografico "mascherato" grazie alla tecnica dell'animazione, questa nuova pellicola è sì girata con attori in carne ed ossa e racconta una storia fondamentalmente tragica, ma con un tono scherzoso e favolistico accentuato da inserti onirici e sfondi disegnati. Lo stile del film d'altronde rispecchia in pieno il protagonista o quantomeno quello che all'inizio sappiamo di lui: ci viene presentato come un bizzarro egocentrico, un uomo annebbiato da questa sua ossessione per il violino perduto, ed ogni personaggio che gli ronza attorno, a partire ovviamente da figli e moglie, ci viene presentato attraverso simpatici siparietti formati da un misto di flashback e flashforward che ricordano come stile Il favoloso mondo di Amelie di Jeunet. Gli otto giorni che separano Nasser Alì dal giorno della sua morte sono giorni in cui non può fare a meno che riflettere sul proprio passato, ed è proprio venendo a conoscenza del vero significato dell'incidente del violino e di cosa quello strumento in realtà significasse per lui, che possiamo apprezzare la complessità e la bellezza di un personaggio che letteralmente si trasforma agli occhi degli spettatori, così come si trasforma il film che passa pian piano da commedia grottesca ad una romantica e poetica favola dal sottotesto politico. Il risultato è un film dall'atmosfera magica, anarchico dal punto di vista narrativo e stilistico, ma che si fa perdonare qualche eccesso di troppo con alcune scenette davvero esilaranti e soprattutto un protagonista tenero ed intenso quale il solito straordinario Mathieu Amalric che ancora una volta si conferma come uno de migliori attori europei sulla piazza. Il suo Nasser Alì dai lunghi baffi e dalle mille sfaccettature è il vero cuore pulsante di un film che comunque non disdegna comprimari di alto livello (Maria De Medeiros, Edouard Baer, Golshifteh Farahani ma anche Chiara Mastroianni e Isabella Rossellini) e che nel finale coraggiosamente si affida soltanto alle belle musiche di Olivier Bernet. Molti saranno forse indispettiti dalla mancanza di lieto fine, ma a nostro parere la favola più bella è proprio quella di una regista che attraverso l'Arte continua a raccontare di un amore difficile e tormentato come quello per il proprio paese.
Movieplayer.it
4.0/5