Recensione Matrimonio a Parigi (2011)

Diretto da Claudio Risi e scritto dalla coppia Bomprezzi/Falcone, Matrimonio a Parigi apre in netto anticipo la stagione dei cinepanettoni con una commedia ispirata a 'I tartassati di Steno' che non riesce, però, a ricreare la magia di quella comicità plausibile eppur devastante.

Come evadere le tasse e vivere felici

All'ombra imponente della Torre Eiffel tutto può diventare possibile, anche che un evasore fiscale e un ufficiale della Guardia di Finanza si trovino, più o meno pacificamente, a condividere la stessa suite nel cuore della capitale francese. Complici i figli Mirko e Diego, entrambi studenti dell'Institut de Art et Design de Paris, ed un errore nelle prenotazioni, Lorenzo, piccolo industriale con il culto del denaro facile, e Gennaro, napoletano tutto d'un pezzo, sono costretti ad un faccia a faccia continuo che contrappone l'antica arte d'arrangiarsi alla più severa applicazione della legge. Così, mentre le rispettive mogli Elvira e Costanza si lasciano sedurre dalle tentazioni lecite e illecite della Ville Lumière, i due si rincorrono lungo le vie di Parigi alla ricerca di un accordo che sembra impossibile. Tra soci senza scrupoli invaghiti di un manichino, stilisti dediti al piacere e spettacoli di Burlesque dove il travestimento è d'obbligo, ad aggiungere un nuovo elemento destabilizzante sono proprio i ragazzi che, impegnati nella realizzazione del loro saggio per il diploma, trovano comunque il tempo per innamorarsi di una modella/spogliarellista e della romantica figlia di Gennaro. A questo punto potrà l'amore tra il figlio di un evasore e la figlia di un finanziere appianare le divergenze dei padri? Si sa che la forza dei sentimenti, almeno al cinema, può tutto, anche convertire un piccolo imbroglione in un onesto cittadino.


In un curioso rimando di corsi e ricorsi storici, il cinema italiano sembra guardare sempre al suo passato nel tentativo di riproporre formule vincenti sotto nuove spoglie non altrettanto efficaci. Così, dopo più di quarant'anni dalla sua prima apparizione sul grande schermo, I tartassati di Steno tornano a ispirare una creatività che, in evidente affanno espressivo, non riesce proprio a trovare moduli comici capaci di rappresentare i così detti tempi moderni. Muovendosi su questa scia Matrimonio a Parigi, scritto dalla coppia Gianluca Bomprezzi /Edoardo Falcone e diretto da Claudio Risi, ripropone la superficie di un racconto garbato, ricostruisce in modo piuttosto evidente la struttura narrativa aggiungendo più variabili umane per impartire un ritmo quanto meno cadenzato, ma non riesce a ricreare la magia di quella comicità plausibile eppur devastante nata dall'incontro del finanziere Aldo Fabrizi e del "tartassato" Totò. Poste le dovute differenze con i due mostri sacri della tradizione artistica italiana, Biagio Izzo e Massimo Boldi rimaneggiano la tematica "guardie e ladri" nella sua eccezione più leggera senza conferirgli, però, nessuna nuova angolazione, ma utilizzandola esclusivamente come sfondo su cui mettere in scena la solita quantità di "maschere" umane invariabilmente sempre uguali a se stesse.

In questo modo, una sceneggiatura realizzata con un certo gusto per il giusto uso del linguaggio perde qualsiasi impostazione e diritto autoriale, piegandosi miseramente alle necessità di una comicità che non si amalgama con la storia ma impone ritmi, tempi e stile di uno assolo da cabaret. Se la coppia Fabrizi/Totò, pur chiedendo spazio per le loro improvvisazioni, si pone al servizio di un mondo immaginario visto e fotografato da Steno, il cast affollato di Risi sembra attendere più o meno pazientemente il suo turno per guadagnare la ribalta e dare fondo ad un repertorio tanto noto quanto troppo prevedibile. Ecco, dunque, che le strade di Parigi si affollano di un Cipolla (Enzo Salvi) innamorato, di una Sconsi (Anna Maria Barbera) un po' meno amareggiata, di un Massimo Ceccherini in continua astinenza sessuale e di un Cipollino mitigato solo dall'età più matura. Unica eccezione nella solita distribuzione regionale dei prototipi comici, la scelta di proporre un partenopeo meno pulcinella e più reale che dona una certa misurata eleganza all'interpretazione di Biagio Izzo. Veramente troppo poco, però, per sopperire alla noia che scaturisce da uno schema incapace di proporre variabili, ponendo così lo spettatore sempre un passo avanti rispetto a ciò che apparirà sullo schermo.
Più che di una regia impersonale e poco determinata, il film risente della mancanza di rappresentazione visto che gli attori a disposizione sembrano fuggire dall'interpretazione, dalla costruzione di un personaggio fuori dai sicuri confini del conosciuto e comprovato. Per questo motivo, dopo averli lasciati crescere nel rassicurante recinto delle loro maschere, la commedia italiana dovrebbe chiedere ai suoi interpreti il coraggio di uscire alla scoperto e mettersi finalmente alla prova sperimentando forme e profili insoliti, la dove scrittura e produzione lo consentono. Partendo da questo punto di vista, Matrimonio a Parigi potrebbe essere considerato una piccola occasione persa per traghettare la commedia popolare fuori dal non stile dei cinepanettoni ed osare di costruire una nuova teoria comica che, pur guardando necessariamente al futuro, trae ispirazione dalla leggiadra solidità del passato.

Movieplayer.it

2.0/5