Recensione La scoperta dell'alba (2012)

La ricerca della protagonista, il suo continuo interrogarsi su una figura paterna risucchiata in una specie di grande buco nero della Storia, ha una forza inusuale per un film italiano.

Se telefonando...

Caterina e Barbara sono sorelle. Ognuna ha sviluppato un particolare talento; la prima è assistente alla cattedra di Diritto del Lavoro all'Università di Roma, la seconda è invece la manager di un gruppo rock alternativo, i Gatto Ciliegia. A guardarle non si direbbe che abbiano sofferto per l'assenza del proprio padre, il professor Lucio Astengo, rapito dalle Brigate Rosse nel 1981 dopo l'omicidio di un altro simbolo della società capitalista, il preside della facoltà di Giurisprudenza, Mario Tessandori. Dopo la morte della madre le due donne decidono di mettere in vendita la casa al mare e liberarsi così di un luogo carico di ricordi dolorosi. Durante un sopralluogo Caterina scova un telefono Bigrigio e quasi per gioco decide di comporre il numero della vecchia abitazione. Le risponde una bambina di nome Caterina; una ragazzina che vive con la sorella Barbara in un grande appartamento a Roma nel 1981. E solo cinque giorni dopo, il suo papà sarebbe scomparso nel nulla. Sconvolta dalla rivelazione Caterina teorizza congetture di ogni tipo per spiegare quel fenomeno assurdo che l'ha messa in contatto con la bambina che è stata. E soprattutto cerca di sentirla quotidianamente per comprendere appieno il mistero della sparizione paterna e per metterla in guardia dalla tragedia incombente. Tragedia che dopo una serie di ricerche e rivelazioni viene spiegata in un'altra maniera. Perché quel padre mitizzato che ha pesato tanto sulla vita delle figlie (Caterina ne ha seguito le orme professionali), non era affatto un eroe.


Liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Walter Veltroni, La scoperta dell'alba, diretto ed interpretato da Susanna Nicchiarelli e presentato in concorso nella sezione Prospettive Italia al Festival Internazionale del Film di Roma, propone una maniera fantasiosa e nuova di esaminare il rapporto tra padri e figli, per rileggere in chiave diversa un'epoca drammaticamente segnata dalla violenza delle ideologie e dalla ferocia dei terroristi. La ricerca di Caterina, il suo continuo interrogarsi su una figura paterna risucchiata in una specie di grande buco nero della Storia, ha una forza inusuale per un film italiano. E' certo l'elemento 'fantasy' del cortocircuito spazio temporale a dare questo colore diverso ad un percorso fondamentale per la protagonista, ma affrontato con una leggerezza che non stona affatto. Riannodare in questo modo i fili di una vicenda interrotta bruscamente trent'anni prima è innanzitutto originale, perché permette di vedere anche il presente da una prospettiva diversa, e poi riesce ad emozionare; in fondo ritrovare una sé stessa bambina, parlarle come se si stesse davanti ad uno specchio incantato, senza buona maniere, anzi a volte molto bruscamente, non può lasciare indifferenti. Grande merito dunque all'autrice romana che riesce a raccontare questa 'favola' senza eccedere in pesanti riflessioni e con notevole capacità registica (davvero bella la sequenza iniziale che mostra l'uccisione del professor Tessandori, accompagnata dalla musica 'straniante' di 99 luftballons di Nina). Non è semplice, infatti, trattare con originalità i dilemmi irrisolti della recente storia italiana, il mondo del brigatismo, ideologicamente scisso dalla società civile, eppure così opprimente e Susanna Nicchiarelli dimostra di avere coraggio nel dire che il cuore della questione è nel rapporto tra certi padri idealizzati e i loro figli. E' forse questo il modo più appropriato per affrontare certi fantasmi, collettivi ma non solo.

Non tutto però funziona a dovere nel film. In certi punti si ha la sensazione che la storia sia diventata più grande dei personaggi e che si siano scelte le soluzioni più facili per risolvere degli snodi narrativi che forse avrebbero meritato uno sviluppo maggiore, ad esempio l'incontro con l'amante del padre (Lina Sastri), figura chiave nel puzzle faticosamente ricomposto da Caterina. Risulta squilibrata anche la vicenda parallela della sorella Barbara, del suo folle gruppo di musicisti e di quel misterioso mecenate che li aiuta ad imporsi nel mondo delle sette note. Il film dissemina appositamente falsi indizi su di lui e questo non giova ad una storia che proprio per il suo fondamento surreale deve invece mantenere una credibilità assoluta. L'ipotetico colpo di scena legato a questo uomo dai capelli rossi, fuggito anni prima dall'Italia, si risolve in effetti in pochi secondi con una breve battuta che smonta una vicenda tirata troppo per le lunghe. Questo andamento leggermente confusionario rischia di rovinare una pellicola godibile e molto personale, ben interpretata da tutti gli attori, in particolare da Margherita Buy e Sergio Rubini. Ci sentiamo però di premiare lo sforzo della regista capitolina nel voler affrontare un argomento così importante dall'inedito punto di vista di una donna in crisi salvata da una bambina. Non è poco.

Movieplayer.it

3.0/5