Fratello, dove sei?
Chiunque abbia avuto qualcosa da raccontare sa quanto sia difficile farlo. E lo è tanto di più quanto è forte e sentito il desiderio e bisogno di farlo: i pensieri, le idee, le parole si affollano, si accavallano e rendono la storia confusa, frenetica, o piena di dettagli, a volte inutili, che si intrecciano facendo perdere di vista il focus del racconto.
E' quello che succede ad Alessandro Rak e Luciano Stella, sceneggiatori de L'arte della felicità, interessante lungometraggio d'animazione realizzato a Napoli da Mad Entertainment e presentato a Venezia 2013 nella sezione Settimana della critica.
Il film racconta la storia di Sergio, musicista che ha abbandonato la sua arte per rifugiarsi nel lavoro da tassista dopo la partenza del fratello, e compagno artistico, per l'Asia. Ma è proprio all'annuncio della morte del fratello che Sergio si rifugia in quel taxi, nei suoi ricordi e sentimenti inespressi, in un percorso lungo le strade di Napoli che lo porta a contatto con diverse persone e vite, che intersecano la sua influenzandola, dall'artista del riciclo all'affascinante Antonia che lo colpisce nel profondo.
Ogni ricordo, ogni incontro ed ogni racconto viene rappresentato anche visivamente nel contesto del film, con stili che deviano da quello del fulcro del racconto e che si vanno ad incastonare in quello principale de L'arte della felicità, creando un insieme a tratti dissonante.
Una volontà di proporre e mostrare uno stile diversificato, che spezza la continuità del filone principale del racconto, che pure di per sé ha una cura ed una ricerca visiva degna di nota: il tratto è semplice e pulito, stilizzato per certi versi, ma arricchito da un tratteggio che lo avvicina alla calda approssimazione del disegno a matita.
E' una scelta efficace, che riesce a comunicare ogni sfumatura del racconto e che sottolinea il buon livello artistico raggiunto dalla Mad Entertainment, ed è un peccato che i tanti innesti ne alterino la coerenza. Ma è solo uno dei difetti del film di Rak, non il più marcato. Il principale è la voglia di dire troppo, che finisce spesso con rompere gli equilibri. Quello che più dispiace è l'inutile insistenza su alcuni aspetti, sul mondo ed in particolare su Napoli (dal disinteresse dei potenti per i problemi della gente alla spazzatura della città partenopea spesso in primo piano), che sfociano in un qualunquismo che si affianca alla storia personale del protagonista, togliendole importanza.
Concentrandosi soprattutto sul rapporto tra i due fratelli, sulla loro unione e su quello che la loro separazione ha significato per il protagonista Sergio, alleggerendo inoltre lo stile, insomma lavorando per sottrazione su entrambi i fronti, L'arte della felicità sarebbe potuto essere un prodotto di gran lunga più efficace ed emozionante. Così com'è resta un biglietto da visita per uno studio ancora giovane che lascia sperare di poter contribuire a far crescere il mondo dell'animazione nel nostro paese.
Movieplayer.it
3.0/5