Recensione Il venditore di medicine (2013)

Un film duro nell'urgenza della sua denuncia, che sceglie di raccontare la sgradevole pratica del comparaggio messa in atto dalle aziende farmaceutiche sullo sfondo della crisi economica, presentando con lucido cinismo contenuti adatti ad un documentario d'inchiesta, attraverso la storia di un gretto protagonista e della sua discesa nell'abisso di azioni mostruose indotte ma non giustificate dalla società che lo circonda.

Venditori sull'orlo di una crisi di nervi

Un film inevitabilmente destinato a suscitare clamore e polemiche, che ha già fatto molto rumore al momento della sua presentazione al Festival di Roma lo scorso anno. Perché Il venditore di medicine, scritto dal documentarista e sceneggiatore Antonio Morabito con Michele Pellegrini e Amedeo Pagani, e diretto dallo stesso Morabito, è un film tanto importante quanto scomodo, che ha visto infatti la luce solo grazie ad una coproduzione dell'italiana Classic e la svizzera Peacock Film con il sostegno della Radiotelevisione svizzera insieme a Rai Cinema. Ambientato nel mondo della farmaceutica , il film denuncia la pratica del comparaggio messa in atto dalle aziende attraverso venditori il cui lavoro non è più quello di presentare le ultime novità in fatto di ricerca, ma è diventato quello di veri e propri corruttori senza scrupoli nei confronti di medici la cui connivenza rappresenta sicuramente l'aspetto più scabroso del film. Un ritratto duro, lucido e impietoso di un sistema marcio, specchio di un paese senza coscienza e senza morale, raccontato attraverso la parabola di un meschino e disperato protagonista che, sullo sfondo della crisi economica, incarna il piccolo mostro che agisce al di là della propria coscienza spinto da una società ancora più mostruosa di lui nelle sue dinamiche folli.


Se Santamaria corrompe Travaglio Bruno (Claudio Santamaria) è un informatore medico per la Zafer, un'azienda farmaceutica che sta attraversando un momento difficile a causa della crisi economica: tra tagli al personale e licenziamenti, gli obiettivi richiesti ai propri venditori per la sopravvivenza in organico sono sempre più alti. La pratica del comparaggio dell'azienda viene messa in atto da Bruno con sempre meno scrupoli, per aumentare fatturati e allargare il proprio giro di medici conniventi, che prescrivono i suoi farmaci in cambio di regali costosi, viaggi premio, e l'offerta di trattamenti speciali di ogni genere. Lo stress aumenta man mano che la situazione di lavoro si fa sempre più difficile: l'ultima possibilità di recuperare terreno agli occhi del suo capo area (Isabella Ferrari) sembra quella di riuscire a piazzare il nuovo farmaco chemioterapico dell'azienda ad un primario di oncologia (Marco Travaglio) non solo restio, ma soprattutto all'apparenza incorruttibile. Il suo tenore di vita e la sua sfera privata sono a rischio, la moglie Anna (Evita Ciri) lo assilla col desiderio di un figlio, per Bruno la morsa si stringe sempre di più e la sue azioni oramai vanno ben oltre al di là della sua coscienza.

La regola dell'undici
La regola dell'undici: un regalo fatto ad un medico in cambio della prescrizione di un farmaco deve produrre utili pari a undici volte il valore del regalo stesso. Le regole non scritte del triangolo "soldi, medici, farmaci" appaiono subito chiarissime, così come chiaro é l'intento di denuncia di Morabito nei confronti del reato del comparaggio e della maniera in cui questo viene perpetrato in maniera disinvolta sotto una fastidiosa sembianza di legalità, tra medici e farmacisti conniventi e case farmaceutiche disposte a tutto. Farmaci prescritti in cambio di regali e soldi, prescrizioni a beneficio di pazienti morti, individui sani che si prestano come cavie: "avete ridotto la sanità uno schifo", tuona l'unico giovane medico che non si presta e si fa portavoce della coscienza di un paese che non può e non deve rimanere indifferente. In un mondo dove oncologia significa soprattutto "duemila euro a fiala", la discesa agli inferi del protagonista che si muove al di sopra della morale è solo l'emblema della società che lo circonda, disposto a tutto per non perdere i propri privilegi, così come la classe dirigente che lo governa. Il farmaco che dovrebbe essere l'ultima cosa ridotta a mero prodotto commerciale, diventa l'emblema della mercificazione di un sistema dove etica e deontologia sono in vendita con buona pace del giuramento di Ippocrate.
Il venditore ai tempi della crisi
Non il primo film sul tema, vedi Amore & altri rimedi con Jake Gyllenhaal, notevole commedia agrodolce dagli imprevisti risvolti drammatici dal registro completamente diverso. Il venditore di medicine è un vero film di denuncia su un argomento talmente scabroso che poteva essere oggetto di un documentario d'inchiesta alla Michael Moore, per l'urgenza e l'attualità dei suoi contenuti, e che invece ci viene proposto sotto forma di un thriller, in cui la parte di denuncia, lucida nella sua durezza e nel suo pragmatismo, funziona comunque meglio di quella romanzata, soprattutto quella che esplora la sfera privata del personaggio, con i risvolti gialli meno credibili e in ogni caso meno tesi ed efficaci delle ciniche contrattazioni tra Bruno e la sua cerchia di medici. Più che altro le azioni aberranti che il protagonista arriva a compiere e l'abisso di disperazione in cui precipita come uomo, rappresentano le conseguenze della mancanza di scrupoli come professionista in cui oltre alle medicine finisce col vendersi anche l'anima. Claudio Santamaria è comunque efficacissimo nell'incarnare l'ansia e l'angoscia crescenti che pervadono la storia, che dal punto di visto emotivo riflette in generale le tensioni e le insicurezze figlie della crisi economica, e con cui ogni lavoratore affetto da sindrome da provvigione, la cui sopravvivenza è legata ad obiettivi e target sempre più esosi da raggiungere, rischia tristemente di identificarsi. La paura del futuro e di mettere al mondo i figli, l'ossessione di non poter mantenere o migliorare il proprio stile di vita, lo stress da risultati, non riguardano solo il venditore di medicine ma un'intera generazione a cui il film si rivolge, e che non può proprio rimanere indifferente.

Movieplayer.it

3.0/5