Recensione Harmony Lessons (2013)

Emir Baigazin padroneggia a tal punto il mezzo cinematografico da decidere di fondere tre film in uno alternando la dimensione naturalistico/contadina a quella scolastica per poi virare, a sorpresa, in direzione del dramma carcerario.

Educazione kazaka

L'opera prima di Emir Baigazin è un pugno nello stomaco. Il regista kazako, che di Harmony Lessons è anche sceneggiatore, esercita un controllo totale sulla storia e sulla dimensione visiva dimostrando una maturità invidiabile. Come se non bastasse il suo film contiene una potenza emotiva e una profondità tipiche del miglior cinema asiatico ed est-europeo. A rendere il tutto più interessante ci pensa il tema trattato nel film, la maturazione di un adolescente cresciuto in un ambiente violento e spietato. Harmony Lessons è un romanzo di formazione al contrario, un'educazione criminale di cui subiscono le conseguenze anche coloro che si mantengono al di fuori del sistema mafioso instaurato nelle scuole di provincia dai piccoli criminali di domani. E proprio di sistema mafioso dobbiamo parlare là dove i bulletti della scuola, rigorosamente organizzati secondo una rigida struttura gerarchica, seminano il terrore imponendo il pagamento di un pizzo che andrà devoluto (almeno in apparenza) ai detenuti adulti. Perché questa è la fine che aspetta gran parte degli adolescenti cresciuti tra violenza e miseria.In questo ambiente si distingue il minuto Aslan, giovane taciturno e intelligentissimo che diviene bersaglio delle angherie dei compagni a causa della sua riservatezza. Nonostante l'amicizia con il nuovo arrivato, il 'cittadino' Mirsain, le vessazioni e le violenze non cessano conducendo Aslan sull'orlo dell'esasperazione.

La narrazione di Harmony Lessons procede su due piani paralleli. Da una parte assistiamo a scene di vita familiare e contadina che descrivono con precisione l'ambiente a cui Aslan appartiene, i suoi giochi, la sua attenzione ossessiva nei confronti di insetti e animali su cui esercita varie forme di violenza e sadismo, dall'altra ci troviamo di fronte all'apparenza pubblica del ragazzino, alla sua emarginazione scolastica e ai rapporti coi compagni. Emir Baigazin padroneggia a tal punto il mezzo cinematografico da decidere di fondere tre film in uno alternando la dimensione naturalistico/contadina (il film si apre con una scena in cui atrocità e bellezza si fondono nel modo più naturale possibile) a quella scolastica per poi virare, a sorpresa, in direzione del dramma carcerario. Pur privilegiando l'uso di immagini altamente simboliche e significanti e riducendo al minimo il dialogo, se si pone attenzione al contesto descritto emergono dettagli concreti sulla società contemporanea kazaka, sui (non) valori morali impartiti ai giovani (si pensi alla lezione dell'insegnante di scienze che inculca nella testa dei suoi allievi l'importanza del denaro), sul peso della religione mussulmana e sulla scarsa attenzione delle forze dell'ordine e dell'autorità ai diritti dell'individuo. Per stemperare la cruda concretezza dello spaccato che ne emerge, Baigazin si concede momenti di puro lirismo che trasfigurano la realtà in direzione di mondi altri. Il finale, suggestivo e surreale, va in questa stessa direzione congedandosi dallo spettatore con un'ultima immensa metafora tanto affascinante quanto ambigua.

Movieplayer.it

4.0/5