Alone in Berlin: ognuno muore solo, anche il film non se la passa bene

Fin dalle prime scene è forte la sensazione di assistere a una pellicola didascalica dove, a una ricostruzione precisa e puntuale di un'epoca, non corrisponde un tentativo di modernizzare temi su cui cinema e letteratura riflettono da settant'anni.

Erano alte le aspettative per Alone in Berlin, coproduzione anglo-franco-tedesca che racconta la storia dei coniugi Otto e Anna Quangel, ispirati ai veri Otto ed Elise Hampsel, i quali opposero una strenua resistenza alla diffusione degli ideali del Nazismo. Quasi tutti i film ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale affrontano la questione focalizzandosi sull'epurazione razziale e sull'Olocausto degli ebrei. Affascinato dal romanzo di Hans Fallada Ognuno muore solo, il regista Vincent Perez ha scelto di concentrarsi sul coraggio di quei cittadini tedeschi che tentarono di arginare l'orrore opponendo una resistenza pacifica. E' il caso dei Quangel, coppia proletaria che, dopo aver appreso la notizia della morte del figlio sul campo di battaglia, iniziò a disseminare Berlino di cartoline anonime contenenti messaggi contro la politica dei Reich.

Alone in Berlin: Brendan Gleeson ed Emma Thompson in una scena del film
Alone in Berlin: Brendan Gleeson ed Emma Thompson in una scena del film

Vincent Perez, nelle cui vene scorre sangue tedesco per parte materna, si è innamorato del romanzo di Fallada tanto da firmarne la trasposizione cinematografica, ma sconta l'inesperienza dietro la macchina da presa. Eppure gli ingredienti per realizzare un buon prodotto storico li avrebbe a disposizione: una storia coinvolgente, un budget di tutto rispetto che gli ha permesso di ricostruire con dovizia di dettagli la Berlino dell'epoca e una coppia di star di talento quali Brendan Gleeson ed Emma Thompson nei panni di Otto e Anna, con l'aggiunta del tedesco Daniel Bruhl in un ruolo di rilievo. Purtroppo, però, alla resa dei conti la pellicola si rivela una delle opere più deboli del concorso della 66° Berlinale.

Eroi del quotidiano

Alone in Berlin: Brendan Gleeson e Daniel Brühl in una scena del film
Alone in Berlin: Brendan Gleeson e Daniel Brühl in una scena del film

Nonostante gli eventi drammatici affrontati e nonostante la presenza di un finale che apre alla riflessione, Alone in Berlin non decolla mai. Fin dalle prime scene è forte la sensazione di assistere a una pellicola didascalica dove, a una ricostruzione precisa e puntuale di un'epoca, non corrisponde un tentativo di modernizzare temi su cui cinema e letteratura riflettono da settant'anni. Eppure per tornare a parlare di Nazismo senza imitare i predecessori occorrerebbero scelte formali coraggiose, come ha dimostrato il recente Il figlio di Saul. Pago del materiale che ha a disposizione, Vincent Perez si adagia su una esposizione dei fatti didascalica e nonostante la presenza di numerosi snodi narrativi 'forti' costruisce una pellicola piatta e priva di tensione drammatica.

Neppure la perfomance di Brendan Gleeson, senza dubbio la cosa migliore del film, serve a risollevare la situazione. Il suo Otto Quangel affronta con dignità il dolore sordo per la perdita del figlio e decide di agire secondo coscienza, mettendo in secondo piano la propria incolumità personale. Gleeson dona al suo personaggio una gravità e un'umanità che trapelano da un'interpretazione trattenuta e sommmessa. Lavorando di cesello, l'attore fa tutto il possibile per salvare il salvabile, soprattutto nell'ultima parte in cui il suo Otto assume una dimensione stoica. Meno equilibrata la performance di Emma Thompson nel ruolo della moglie fragile e nervosa. Qualche sbavatura nella caratterizzazione dovuta, probabilmente, a una direzione degli attori non proprio impeccabile.

Una pellicola senza controllo

Con due sole regie all'attivo, l'ultima - il thriller del 2007 Si j'etais toi, con David Duchovny - Vincent Perez tenta di spiccare il salto in direzione del cinema impegnato, ma l'operazione non riesce pienamente. Colpa di una struttura narrativa semplificata fino all'osso che dirada i colpi di scena affidandosi unicamente all'importanza del messaggio contenuto nella pellicola. Gli orrori del Nazismo sono motivo necessario per ricordare al mondo che il revisionismo e rischio di degenerazione di un certo pensiero politico sono sempre dietro l'angolo, ma non sono sufficienti a sostenere una pellicola troppo classica nella concezione. Talmente classica da risultare a tratti stantia.

Alone in Berlin: Daniel Brühl in una scena del film
Alone in Berlin: Daniel Brühl in una scena del film

Troppo innamorato delle idee di Hans Fallada, Vincent Perez si crogiola nella descrizione di un microcosmo arcaico fatto di piccoli tocchi, di personaggi tragici nella loro quotidianità, come l'ebrea Frau Rosenthal, alternando a questo bozzettismo, a cui appartengono gli stessi Otto e Anna, alcune sequenze a tinte forti (si veda il pestaggio dell'ispettore di polizia interpretato da Daniel Bruhl). La presenza di questi "strappi" narrativi non dona maggior profondità ad Alone in Berlin, ma anzi ne destabilizza l'equilibrio sfiorando pericolosamente l'eccesso trash. Intelligente la scelta di chiudere il film proprio sulla figura dell'ispettore di Bruhl. Purtroppo un finale azzeccato non salva una pellicola minata dalla mancanza di controllo registico.

Movieplayer.it

2.0/5