Recensione Dearest (2014)

Il film di Peter Chan, presentato fuori concorso al Lido, trae spunto da un recente fatto di cronaca per narrare l'odissea di due genitori che si sono visti rapire il figlio di tre anni; il loro dramma si intreccia, in una prospettiva priva di manicheismo, con quello dell'incolpevole "madre" adottiva del bambino.

Siamo a Shenzen, nel sud della Cina. Tian Wen-Jun, che ha recentemente divorziato dalla moglie Xiao-Jun, gestisce una piccola sala giochi nel centro della città; i due condividono l'affidamento del figlioletto, il piccolo Peng, di tre anni. E' proprio a seguito di una delle visite del bambino presso il luogo di lavoro di Wen-Jun che accade l'impensabile: Peng, allontanatosi per qualche secondo dalla sala giochi a seguito di una distrazione del padre, viene prelevato in strada da uno sconosciuto. Le telecamere di sorveglianza hanno registrato l'evento, ma sono incapaci di rivelare l'identità del rapitore: è l'inizio, per Wen-Jun e la sua ex moglie, di una lunga e terribile odissea, tra speranze, false segnalazioni del bambino, piste infruttuose e tentativi di sciacallaggio.

I due, riavvicinatisi a seguito del rapimento, entrano anche in contatto con un gruppo di aiuto per genitori di figli scomparsi; ma i mesi, e in seguito gli anni, passano senza che si abbia notizia del bambino. Tre anni dopo, una segnalazione proveniente da un piccolo villaggio, sito nel nord del paese, sembra riaccendere la speranza: la coppia si reca nel luogo segnalato e riconosce sembra ombra di dubbio il figlioletto. Ma Peng, che ora vive con una contadina povera e una "sorella" più piccola, sembra totalmente cambiato: il bambino mostra una forte ostilità verso i genitori biologici, che non riconosce più, e manifesta il disperato desiderio di restare con la sua famiglia adottiva. L'odissea della coppia è tutt'altro che finita, mentre il suo dramma si mescola a quello di Hong-Qin, l'incolpevole madre adottiva.

Dalla realtà al (melo)dramma

Dearest: una scena del film
Dearest: una scena del film

Oltre ad essere uno dei nomi principali della cosiddetta "seconda New Wave" di Hong Kong (quella che data a partire da fine anni '80) Peter Chan è anche un regista che ha mostrato, negli anni, una notevole versatilità: la sua produzione ha infatti spaziato in vari generi, dal dramma sentimentale di Comrades: Almost a Love Story all'action storico di The Warlords - La battaglia dei tre guerrieri, passando per l'horror (fortemente venato di melò) dell'episodio Going Home nel collettivo Three. In questo Dearest, nuova co-produzione con la Cina mainland, il regista hongkonghese prende spunto da eventi reali; in particolare, Chan si ispira qui alla cronaca del rapimento di un minore avvenuto nel 2009, al suo ritrovamento di tre anni dopo e al problematico reinserimento nella famiglia di origine. Il registro scelto è ancora una volta quello del melodramma; pur inserito, nella fattispecie, in una messa in scena minimale, che fa del degrado, umano e sociale, uno dei suoi elementi portanti. L'odissea della coppia protagonista è narrata con toni emotivamente forti, che non fanno mistero di voler rendere lo spettatore immediatamente partecipe del dramma; ma l'ambientazione diviene emblema delle contraddizioni della Cina moderna, con le disparità sociali e culturali tra la realtà urbana e quella rurale, ma anche con la coesistenza, nella prima, della facciata scintillante della modernità e dello squallore dei sobborghi cittadini, dai quali origina la dolente vicenda della coppia protagonista.

Dearest: Vicky Zhao in una scena del dramma familiare diretto da Peter Chan
Dearest: Vicky Zhao in una scena del dramma familiare diretto da Peter Chan

Morali problematiche

Uno degli indubbi pregi di Dearest è quello di aver reso, attraverso l'adozione di due differenti punti di vista (quello della coppia protagonista, e quello della madre adottiva) tutta la problematicità dell'evento che ricostruisce: se, in tutta la prima parte del film, lo script ci porta direttamente nel dramma di Wen-Jun e della sua ex moglie, rendendoci partecipi di quella commistione di dolore e speranza che accompagna, giorno per giorno, la scomparsa di un figlio, la seconda parte adotta un brusco cambio di visuale; centro della narrazione è ora la vicenda di Hong-Qin, il dolore della separazione da un bambino che l'ha ormai riconosciuta come madre, e la sua battaglia legale, portata avanti attraverso l'interessamento di un giovane avvocato, per riottenere almeno l'affidamento dell'altra bambina. In modo semplice, ma efficace, il regista mette in scena due mondi che appaiono incapaci di comunicare l'uno con l'altro, men che meno di comprendersi: quello urbano della coppia, non ricco ma istruito e "borghese", e quello rurale, povero, di Hong-Qin, resa inconsapevole complice di un atto (il rapimento di un minore) esposto alla riprovazione della morale comune. In mezzo, la realtà di due bambini stretti dalla morsa di uno scontro più grande di loro, oggetto di scelte, da parte del mondo adulto, inevitabilmente destinate a rivelarsi fallimentari. L'assenza di manicheismo, unita all'efficacia dello spaccato sociale che offre, rappresenta senz'altro uno dei principali pregi del film di Chan; tale da controbilanciare un approccio al racconto che forse, in alcuni passaggi, avrebbe giovato di toni più asciutti e meno espliciti.

Conclusioni

Vicky Zhao nei panni della mamma disperata in Dearest
Vicky Zhao nei panni della mamma disperata in Dearest

Metà melò, con occhio attento ai gusti del pubblico, e metà dramma sociale, Dearest raggiunge l'obiettivo di intrattenere e stimolare salutari riflessioni, impreziosito dalle buone prove di Vicky Zhao e Huang Bo. Se è vero che la via scelta, per ricercare il coinvolgimento, è spesso quella più "facile", non si può dire che il risultato finale manchi di spessore ed efficacia.

Movieplayer.it

3.0/5