La riscoperta del corpo attraverso la parola
Nella mitologia persiana esiste una leggenda cara alla tradizione popolare afgana che narra della Syngué Sabour, la pietra paziente: una pietra magica alla quale ognuno di noi può raccontare e sussurrare tutti i segreti più inconfessabili, le disgrazie, le sofferenze, così da trasferirne il peso sulla pietra stessa, che le assorbe, se ne fa carico, fino a che non va in frantumi liberandocene per sempre. Ai piedi delle montagne attorno ad una Kabul lacerata dalla guerra, la giovane donna protagonista del film accudisce il marito, eroe di guerra in coma. I combattenti sono alla porta, la donna deve combattere il terrore e la mancanza di denaro: le restano le due bambine e il conforto di una zia tenutaria di una casa di piacere. A poco a poco la donna comincia a confidare alla salma inerme del marito tutte le sue sofferenze, i suoi ricordi più profondi e segreti, il marito che non l'ha mai ascoltata e degnata di considerazione in vita, diventa nel silenzio del coma la sua pietra paziente: la donna, attraverso la parola, libera il proprio cuore, si apre, riprende coscienza del suo corpo, della sua femminilità troppo a lungo negata.
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Il film è interpretato da una straordinaria Golshifteh Farahani, iraniana e anche lei esule a Parigi, ribelle e sgradita in patria per aver posato a seno nudo in una campagna contro gli abusi sulle donne, vista di recente in About Elly e Pollo alle Prugne, nonché in grandi produzioni hollywoodiane come Nessuna Verità con Leonardo DiCaprio. Una prova intensa e vibrante, impegnata a recitare per un'ora da sola con la telecamera di fronte ad un corpo inerte. Un lungo ed incessante monologo che somiglia ad una sorta di lunghissima e profonda seduta di autoanalisi, riesce a restituire con gli sguardi, i singhiozzi, le urla e i sussurri, la liberazione e l'esplosione della sua femminilità troppo a lungo repressa. Sensuale nell'inaspettata presa di coscienza del suo corpo, grazie agli incontri con il giovane soldato, dove sperimenta sensazioni e sentimenti fino ad allora sconosciuti. Il suo volto che a poco a poco riacquista la luce perduta, o forse mai avuta, la cui luminosità viene splendidamente restituita dalla fotografia di Thierry Arbogast, scava un solco profondo nella memoria e non lascia indifferenti.
Movieplayer.it
4.0/5