Recensione Back to 1942 (2012)

Con Back to 1942 il regista Feng Xiaogang firma il suo progetto più personale e ambizioso, una vibrante e toccante epopea popolare che ha l'obiettivo di riportare alla memoria un tragico episodio collettivo rimosso anche dai cittadini cinesi.

I dimenticati

Curiosa la parabola di un autore come Feng Xiaogang, fino a qualche tempo fa conosciuto prevalentemente come regista commerciale e specializzato nella realizzazione di quei film di cassetta che escono solitamente durante il capodanno cinese (in un certo qual modo rappresentano un po' l'equivalente dei nostri cine-panettoni). Nel corso del nuovo millennio Feng è stato l'artefice di varie commedie romantiche che hanno regolarmente sbancato ai botteghini della Repubblica Popolare - in particolare If You Are the One e il suo seguito - rendendolo probabilmente il regista che ha incassato di più in patria negli ultimi anni. In un panorama come quello cinematografico cinese - che di recente sta subendo delle radicali modifiche, specializzandosi sempre di più in costosissime e magniloquenti produzioni commerciali, con una crescente attenzione a Occidente - il lavoro di Feng Xiaogang è indicativo della grandeur cui aspirano oggi le major di Pechino, in grado spesso di rivaleggiare perfino con Hollywood, rubandogli ormai anche le star. Tuttavia, ultimamente il regista ha compiuto un'evoluzione nel suo percorso artistico, cambiando genere e realizzando in prevalenza affreschi storici come The Banquet, Assembly e Aftershock, che rievocano in maniera simpatetica alcuni drammi collettivi subiti dal popolo cinese in diverse epoche. Nel passaggio da uno stile all'altro, in ogni caso rimane costante nell'autore la vocazione genuinamente "popolare" delle sue opere, nel senso più letterale e positivo del termine.

Non fa eccezione Back to 1942, sicuramente il progetto più ambizioso (e anche il più costoso) realizzato finora da Feng Xiaogang, trasposizione dell'imponente libro Remembering 1942 di Liu Zhenyun, che il regista ha cercato di realizzare sin dal 1993, passando attraverso una serie di interminabili difficoltà di carattere tecnico, produttivo, ma anche politico. L'opera di Liu Zhenyun denuncia un'immane tragedia subita dal popolo cinese e scandalosamente rimossa anche dalla memoria collettiva dei suoi connazionali. Si tratta del terribile esodo che milioni di abitanti della provincia dello Henan dovettero affrontare appunto nel 1942, per sfuggire a una carestia che, assieme alla guerra, aveva stremato la popolazione, provocando un'autentica ecatombe con oltre tre milioni di morti per consunzione. Il tutto si verificò nel più totale silenzio del governo centrale del Generalissimo Chiang Kai-shek, che abbandona completamente i cittadini di Henan lasciandoli addirittura in balia dell'invasore giapponese. Si interessarono di questo eccidio di massa perfino alcuni osservatori occidentali, come il corrispondente del Time Theodore White (impersonato nel film da Adrien Brody), che fecedi tutto per portare all'attenzione delle autorità l'inenarrabile condizione di stenti vissuta dagli sfollati; ma anche la comunità cristiana, incarnata dal prete interpretato da Tim Robbins, che tentò il più possibile di alleviare le sofferenze dei poveri sventurati.
Feng Xiaogang, con il fondamentale apporto alla sceneggiatura dello stesso Liu Zhenyun, trova la chiave giusta per tradurre su grande schermo questa ignominiosa pagina della storia cinese, bilanciando in egual misura un'attenta ricostruzione documentaria degli eventi con uno sguardo commosso e partecipato nei confronti delle singole storie degli sfollati. La sua attenzione si concentra in particolare sulle vicissitudini di una comunità decimata dalla carestia che, man mano che proseguono i giorni di digiuno e i chilometri percorsi alla affannosa ricerca di cibo, sprofondano in un girone infernale dove l'unica cosa che conta è sopravvivere, anche a discapito della propria umanità. Il regista si accosta a una materia così delicata - per molti versi accostabile alle persecuzioni subite dal popolo ebraico più o meno nello stesso periodo - con un rigore e un impegno non inferiore rispetto a quello presente in produzioni occidentali come Schindler's List o Il Pianista, e riesce miracolosamente a evitare la retorica e il patetismo, senza però al tempo stesso rinunciare a una rappresentazione emotiva e commovente. Seguendo in toto la propria vocazione "popolare", Feng non dimentica comunque di realizzare anche uno spettacolo appassionante, a tratti avventuroso, dove l'efferata crudezza di alcune immagini (i cadaveri dilaniati dai cani, gli insensati bombardamenti dell'esercito giapponese) è bilanciata da momenti di insospettatamente ironici per stemperare la tensione. Il risultato finale è una vibrante epopea del popolo cinese, un doloroso memento indirizzato in primo luogo alla sua nazione, ma che rappresenta al tempo stesso un racconto dalla portata universale, in cui è impossibile non notare anche un significativo messaggio di apertura nei confronti dell'Occidente.