E' ricca, l'ammazzo e mi sposo
E' dura la vita per Alberto Nardi, imprenditore edile sfortunato e incapace che ha raccolto solo insuccessi; sposato alla ricchissima Susanna Almiraghi, squalo dell'alta finanza, capitalista vecchia maniera, sogna il giorno in cui potrà finalmente essere riconosciuto dal mondo del business per le sue capacità e non per la relazione che lo lega a quel piccolo incubo. Unica gioia in un'esistenza dominata dai debiti e dalle continue vessazioni subite da parte della perfida consorte, è la presenza di pochi fidati amici, come Stucchi, il segretario tuttofare, Giancarlo, il cugino autista e Giada, l'amante svampita. Quando Susanna sembra essere rimasta uccisa in un grave incidente aereo in Romania, Alberto assapora il gusto dolce della libertà. Per questo il ritorno della donna, viva e vegeta come mai prima, è un contraccolpo durissimo da superare. Dopo un breve esaurimento nervoso, curato con Tai Chi e pilloline, Alberto torna in pista per il più grande affare della vita. Architetta un piano perfetto per uccidere Susanna e vivere finalmente di rendita. Naturalmente, la perfezione non appartiene a questo mondo.
Non abbiamo alcuna intenzione di fare paragoni tra Aspirante vedovo e Il vedovo. Pregi e difetti dell'ultimo film firmato da Massimo Venier sono completamente genuini e non vanno, a nostro parere, letti alla luce della conformità o meno al geniale e inarrivabile modello originale creato da Dino Risi. E' una premessa necessaria per sgombrare il campo da ogni polemica e per disinnescare sul nascere quel terribile gioco di caccia alle somiglianze e differenze che rischia di essere fuorviante quando si mettono a confronto due opere profondamente diverse, a dispetto di un identico plot. Aspirante vedovo è una commedia dalla carica eversiva piuttosto blanda, che si poggia completamente sulle spalle di un gruppo di protagonisti dalle personalità molto definite, pedine si muovono in una Milano ricolma di opportunità, ma solo per quelli che le sanno cogliere al volo. Sullo sfondo della storia c'è il rampantismo feroce di chi vuol cavalcare la crisi per fare soldi, un sentimento velenoso che trova la massima rappresentazione nel personaggio di Susanna, concentrato di ferocia e fortuna, disgustosamente a proprio agio in un mondo che incrementa le disparità. Al contrario di Alberto, inadeguato in ogni campo della vita, Susanna cade sempre in piedi, non ammette il fallimento, in campo sentimentale (ammesso che abbia dei sentimenti) e in quello lavorativo. Pochi graffi di humour nerissimo arrivano quindi a destinazione, scuotendo un po' le coscienze e spingendoci a riflettere su certi consorzi (chiesa e industria vanno a braccetto senza troppe titubanze) e su buonismi addomesticati. Una pillola amarissima che tuttavia si sarebbe imposta con più forza se ci fossero stati dei momenti comici veri, come logico attendersi da una commedia. Qui invece lo spirito caustico si manifesta senza mezze misure, in programmate battute sgradevoli che hanno il compito di mostrarci la 'ferocia' dei personaggi che le pronunciano. La coppia formata da Luciana Littizzetto e Fabio De Luigi, quindi, non riesce ad innalzarsi dallo schema carnefice-vittima e le loro azioni finiscono per essere asfissiate dalla pesantezza dei rispettivi caratteri. Il povero Nardi di diabolico ha poco o nulla e il suo desiderio di riscatto, di autonomia si trasforma in una puerile rivendicazione; dal canto suo la Almiraghi, ben conscia dell'imperitura solitudine, è destinata a reiterare il 'peccato' che sconta faticosamente, andandosi a cercare uomini di insuccesso. E' un film mesto, insomma, come triste è un paese la cui classe dirigente è una casta di privilegiati che produce povertà, che non fa sognare, che non fa ridere, che rende inutile ogni sberleffo. Non è solo questa motivazione 'endemica' a definire la non perfetta riuscita di un lungometraggio che fornisce tante ottime prove attoriali, come quella di Alessandro Besentini nei panni del mite Stucchi; raccontare il tempo di appartenenza è caratteristica di ogni buon film che si rispetti, ancora di più se si tratta di una commedia. Quello di Venier non centra il bersaglio, ci si avvicina solo un po', mascherandosi dietro ad una storia che invece la sua epoca l'aveva catturata in pieno, con la corsa sfrenata al successo e la fragorosa caduta dei propri poveri eroi di cartone, a cui bastava una spinta per ritrovarsi nell'Olimpo degli eletti. O più semplicemente in un altro mondo.
Movieplayer.it
2.0/5