Recensione Antisocial (2013)

Un horror che flirta col filone dei morti viventi, pur senza appartenervi a pieno titolo, raccontando un contagio che cresce e si diffonde attraverso un social network. La bontà dell'idea, tuttavia, è inficiata da uno script decisamente approssimativo.

Siamo alla vigilia di un Capodanno come tanti. Un gruppo di studenti universitari si prepara a festeggiare la ricorrenza a casa di uno di loro, tra balli, birra e innocue trasgressioni. Tutti i ragazzi sono iscritti al sito "Social Redroom", il più popolare e cliccato social network del momento. Tutti, tranne una: Sam, infatti, si è appena cancellata dal sito, a causa della rottura col suo ragazzo che ritiene essere stata provocata anche da esso. Depressa e poco in vena di festeggiamenti, Sam si unisce comunque ai suoi quattro amici, con l'intenzione di far loro un saluto e tornare a casa poco dopo. Appena i cinque sono nella casa, però, iniziano a verificarsi strani eventi: il gruppo viene aggredito da un folle che sorprende Jed e Kaitlin in un momento di intimità, e viene accidentalmente ucciso dal giovane nella successiva colluttazione.

Quando i ragazzi chiamano la polizia, ottengono come risposta un messaggio automatico: le linee sono sovraccariche, in quanto sembrano esserci un gran numero di chiamate analoghe da tutto il paese. In pochi minuti, le strade sono piombate nel caos, mentre telegiornali e siti web, impotenti, riportano notizie e immagini di aggressioni e violenze a ripetizione. L'origine sembra essere un misterioso virus, che provoca dapprima allucinazioni e poi un comportamento violento e incontrollato. Senza informazioni sull'origine del virus e le sue modalità di trasmissione, i cinque amici divengono preda di uno strisciante senso di sospetto e paranoia.

Contagio di Rete

Cody Thompson in una scena del film Antisocial
Cody Thompson in una scena del film Antisocial

All'interno dello Z-Day del Fantafestival 2014 (la giornata dedicata ai morti viventi organizzata dalla manifestazione romana) questo Antisocial rappresentava uno dei piatti forti. L'horror canadese dell'esordiente Cody Callahan, in realtà, può esser fatto rientrare solo in senso lato nel sottogenere zombesco: le sue creature sono in realtà individui contagiati, che si comportano in modo solo in parte analogo ai morti viventi romeriani, e soprattutto trovano la morte (con una spettacolare esplosione del cranio) poco dopo aver contratto il virus. L'aspetto interessante, che rappresenta poi il fulcro tematico del film, è il collegamento del contagio col social network che furoreggia tra i ragazzi: fin dall'inizio, il film mostra che l'esistenza dei protagonisti è totalmente dominata da foto, link, immagini e condivisioni passate attraverso i server del popolare sito. Computer e cellulari sono sempre accesi, e riportano a ripetizione immagini e messaggi, ma soprattutto mantengono i ragazzi in uno stato di connessione reciproca perpetua. Significativamente, quando un'amica della protagonista apprende della sua decisione di cancellarsi dal sito, le chiede come farà, ora, a restare in contatto con gli altri (e l'ovvia risposta è "incontrandoli di persona"). La tesi è chiara, scoperta, a rischio di sconfinare nel semplicismo: la Rete, col suo potenziale di pervasività, è vettore dell'orrore. Un'idea non nuova, visto che Kiyoshi Kurosawa vi aveva già basato il suo Kairo: qui, però, anziché aprire le porte per una minaccia esterna, il virus genera un contagio che si incuba e cresce dentro, nel corpo umano.

Una battagliera Michelle Mylett nel film Antisocial
Una battagliera Michelle Mylett nel film Antisocial

Digitale e organico

Per quanto non nuovissima, quindi, l'idea di Antisocial è sicuramente buona, e le prime fasi dell'esplodere del contagio, con le immagini di violenza rimbalzate in rete, e l'omicidio/suicidio compiuto da una ragazza davanti al suo pc, risultano d'impatto. Interessante anche la cronenberghiana oggettivazione del virus, in una sorta di micro-filamento vivo che cresce nel cervello delle vittime, e d'effetto è anche la truculenta "procedura" per la sua rimozione. Tuttavia, i problemi del film di Callahan stanno in una sceneggiatura approssimativa e a tratti confusa, in una poco convincente gestione di quello che poteva essere un potentissimo espediente narrativo (il senso di paranoia e sospetto tra i protagonisti) e nell'approssimativa recitazione di buona parte del cast. I personaggi risultano stereotipati e poco credibili, quasi totalmente privi di un background che consenta allo spettatore un minimo di empatia, mentre i dialoghi sfiorano a volte il ridicolo involontario. Ferma restando la necessità della sospensione dell'incredulità (inevitabile dato l'argomento del film) c'è una certa confusione nella gestione della spiegazione che viene data al contagio, con indizi contraddittori (il sangue appartenente a una delle prime vittime, che sembra infettare la rete idrica) che fanno pensare a una sceneggiatura più volte rimaneggiata. Restano suggestive, e potevano forse trovare più spazio, le visioni provocate dal virus alle vittime, così come ha un certo impatto il finale aperto, che sembra lasciare spazio alla possibilità di un sequel. Malgrado le buone idee, comunque, e qualche momento registicamente d'impatto, il tutto non basta a supplire i limiti di uno script davvero troppo approssimativo, che inficia in buona parte la riuscita del film.

Conclusioni

Un'impressionante immagine dell'horror Antisocial
Un'impressionante immagine dell'horror Antisocial

Antisocial intrattiene e non è privo di buoni momenti, ma il suo soggetto necessitava una scrittura più curata e coerente. Può essere visto (e goduto senza grossi problemi) come pop-corn horror, ma l'argomento e l'intuizione di base legittimavano senz'altro qualche aspettativa in più.

Movieplayer.it

2.5/5