Recensione Andiamo a quel paese (2014)

Con la pellicola presentata come film di chiusura della nona edizione del Festival del Film di Roma, Ficarra e Picone tornano al cinema con un'opera che si ispira ai classici della commedia nostrana, per denunciare con toni neanche tanto velati le contraddizioni e il malcostume dell'Italia contemporanea.

Salvo e Valentino (Salvatore Ficarra e Valentino Picone) sono due amici che, dopo essere rimasti disoccupati, decidono di lasciare Palermo e tornarsene a Monteforte, paese d'origine di Valentino e di Donatella, la moglie di Salvo. Una vita meno cara, convivenza coi genitori per cui niente affitto, in attesa della raccomandazione del politico di turno che è l'unico modo per risolvere tutti i problemi: questa l'aspettativa soprattutto di Salvo, il più restio al cambiamento da buon cittadino qual è sempre stato. Una volta arrivati in paese, si ritrovano circondanti da anziani per lo più tutti imparentati tra loro tra le varie famiglie, per cui ecco la brillante idea per campare alla grande: trasformare casa della suocera in una specie di villa arzilla e portare quanti più parenti possibile a vivere sotto lo stesso tetto, gestendo le pensioni di tutti e vivendo alle loro spalle.

Per ogni vecchietto, una pensione sicura a fine mese: un bottino troppo ghiotto per non approfittarne. Ma gli eventi prendono una brutta piega, perché se i nonnetti passano a miglior vita per un incidente o per un altro, addio guadagni. E allora bisogna inventarsi qualcosa di diverso, per garantirsi la sussistenza.

L'amore finisce, la pensione è per sempre

Andiamo a quel paese: Valentino Picone con Salvatore Ficarra e Mariano Rigillo in una scena
Andiamo a quel paese: Valentino Picone con Salvatore Ficarra e Mariano Rigillo in una scena

Quinto film per il duo comico Salvo Ficarra e Valentino Picone, che in attesa di riprendere posto sui banchi di Striscia la Notizia a febbraio, ritornano al cinema con una pellicola ambientata ancora nella loro Sicilia, una commedia all'italiana dal taglio piuttosto classico che omaggia anche per la scelta della location il cinema di autori come Pietro Germi e di film come Divorzio all'italiana. Un passo avanti per gli ex nati stanchi, che si discostano dai toni della consueta commedia leggera degli equivoci sperimentata fino ad ora, virando verso quelli decisamente più acri della satira sociale e politica. Meno screwball e più satira di costume quindi, per ritrarre un belpaese quanto mai all'insegna dell'espediente e della raccomandazione.

Denuncia sociale del malcostume di un'Italia dove i giovani senza prospettive e senza futuro campano alle spalle dei vecchi e delle loro pensioni: la pensione appunto, che diventa lo status definitivo e più ambito anche dalle nuove generazioni, specchio e metafora della senilità di un paese senza ambizioni. Sembra quasi che l'esperienza nella redazione di Antonio Ricci, sempre alle prese con gli scandali dell'italietta contemporanea, abbia indirizzato Ficarra e Picone verso toni più graffianti ed uno spirito critico nemmeno troppo velato: tra la mancanza di etica, l'immancabile immoralità della politica, la pensione e la raccomandazione come uniche alternative per la sopravvivenza, Ficarra e Picone ne hanno per tutti, con la voglia di prendersela con le regole non solo della classe politica ma anche di quella clericale.

Risate a denti stretti

Andiamo a quel paese: Valentino Picone e Salvatore Ficarra, interpreti e registi del film, in una scena
Andiamo a quel paese: Valentino Picone e Salvatore Ficarra, interpreti e registi del film, in una scena

Andiamo a quel paese si inscrive quindi nei canoni della commedia all'italiana nel senso più tradizionale, dove l'ironia si fa pungente se non amara e le situazioni comiche sono legate a doppio filo con la schietta rappresentazione e la denuncia della realtà sociale. Oltretutto Ficarra e Picone, tra tutti i comici che sono riusciti nel passaggio dalla televisione al cinema, sono quelli che hanno intrapreso, anche per la scelta di impegnarsi sempre come registi, un percorso di maggiore coinvolgimento e ricerca di una propria dignità cinematografica sia nell'impianto della messa in scena che nella scrittura, cosa che in questo film viene ancora più accentuata. Niente di clamoroso per carità, ma è evidente il tentativo di cercare dei canoni che siano riferibili a un certo tipo di commedia e di tradizione, senza limitarsi a riproporre una serie infinita dei gag televisive scollacciate tra loro trasferendole semplicemente dal piccolo al grande schermo. Dotati di una comicità molto più verbale che fisica, Salvo e Valentino fanno di necessità virtù cercando di sviluppare il soggetto con una trama che non viva solo solo dei loro duetti e delle loro battute, come al solito brillanti e supportate da tempi comici perfetti.

Sufficientemente scorretto

Andiamo a quel paese: foto promozionale di gruppo
Andiamo a quel paese: foto promozionale di gruppo

Si ride abbastanza, nonostante la ripetitività e i tentennamenti nell'evoluzione della trama, ma come detto l'idea di affrancare la storia dalla dipendenza dei loro sketch si evince anche da un casting che valorizza e dà importanza ai ruoli minori: dal carabiniere stordito di Francesco Paolantoni al barbiere pettegolo di Nino Frassica, ma soprattutto al prete interpretato da un attore dalla nobilissima filmografia come Mariano Rigillo. La regia denuncia limiti evidenti e non riesce a supportare la storia e il soggetto con una cinematografia ancora degna di questo nome, ma anche in questo caso si nota la volontà di Ficarra e Picone registi di provare, ancora senza troppo successo, di cercare qualcosa di più anche dal punto di vista visivo rispetto alla media delle commedie standard che vediamo oggi approdare sul grande schermo. Di base è tutto ancora legato all'identità comica sulla quale hanno costruito il loro successo, il Ficarra furbetto spalleggiato dal Picone vittima degli eventi, ma le battute sono divertenti e quasi sempre indovinate e la critica sociale graffiante quanto basta, forse anche al di là delle intenzioni, con doppia e riuscita sorpresa finale che fa impennare l'indice del politicamente scorretto tra clero e politica quel tanto che basta per renderla una commedia un po' più interessante della media.

Andiamo a quel paese: Valentino Picone e Salvatore Ficarra in una scena del film con Lily Tirinnanzi
Andiamo a quel paese: Valentino Picone e Salvatore Ficarra in una scena del film con Lily Tirinnanzi

Conclusioni

Commedia brillante che si distanzia dai toni leggeri delle precedenti per assumere i contorni di una satira di costume dal sapore molto acre. Le battute e i dialoghi funzionano per cui si ride, spesso a denti stretti, nonostante la ripetitività di certe situazioni e i tentennamenti nell'evoluzione della storia, che comunque cerca di svilupparsi oltre le singole gag.

Movieplayer.it

3.0/5