Recensione After Earth (2013)

La corsa disperata di Jaden Smith per salvare papà Will sul pianeta Terra disabitato da 1000 anni, un pianeta ora ostile popolato da creature feroci e letali. Uno sci-fi movie solo nelle premesse, dove il fulcro è rappresentato dal conflitto e dall'evoluzione del rapporto tra padre e figlio.

Caduti sulla Terra

Mille anni dopo che una serie di eventi catastrofici hanno costretto l'intera umanità ad abbandonare il pianeta e cominciare una nuova vita colonizzando il pianeta Nova Prime, il corpo speciale dei Ranger rappresenta il nuovo standard militare incaricato di preservare la specie umana e difenderla dagli attacchi degli Skrel, una razza aliena che rivendica il dominio del pianeta. Il generale Cypher Raige (Will Smith) è uno dei leader più carismatici dei Ranger, colui che ha riacceso la speranza nella lotta contro gli Skrel e ha invertito le sorti della guerra, per cui è una sorta di mito per i militari, ma soprattutto per suo figlio Kitai (Jaden Smith) che tenta di ripercorrerne le orme e di guadagnarsi il suo rispetto e la sua approvazione con scarsi risultati. Un viaggio insieme per un'ultima missione di Cypher sembra essere la giusta occasione per riallacciare un legame che sembra compromesso, ma un incidente costringe l'astronave ad un atterraggio di fortuna proprio sul pianeta che nel frattempo è diventato il più ostile all'uomo dell'intero sistema: la Terra. In questo luogo selvaggio e inospitale, dominato da specie di animali strane e letali, con il padre seriamente ferito, la responsabilità della sopravvivenza di entrambi sarà interamente affidata a Kitai che dovrà conquistare la fiducia del genitore insieme alla salvezza.


Un oggetto strano e, diciamolo subito privo di una forte identità, questo film prodotto in casa dalla famiglia Smith: Will ha scritto il soggetto, interpreta insieme al figlio Jaden, produce con la moglie Jada e il cognato Caleeb, insieme al fido James Lassiter. Risultato: i maligni subito a dire che mamma e papà hanno messo in piedi la costosa baracca per il figlioletto Jaden per farne di lui una star. Dirige, co-sceneggia e co-produce M. Night Shyamalan, che fatica da tempo a ritrovare una sua continuità artistica, oltre agli altalenanti favori di pubblico e critica che oramai latitano almeno dai tempi di The Village fino alla batosta de L'ultimo dominatore dell'aria.
Decisamente After Earth - Dopo la fine del mondo, al di là del titolo che evoca suggestioni socio-fantascientifiche, non è uno sci-fi movie nel senso classico del termine: non abbiamo gli scenari distopici, gli ambienti e le tematiche classiche di tanta cinematografia del genere, o per lo meno sono solo accennati in fase di incipit.

After Earth è ambientato in "un futuro lontanissimo" ma la contestualizzazione è lasciata solamente alla voice over iniziale, nessuna indagine su causa ed effetto o riflessione sulle nuove dinamiche sociali future di Nova Prime e del suo immaginario: si capisce dalla note di regia che dietro il soggetto di Will Smith ci sono idee di fantascienza sociologica rispetto all'evoluzione della vita sul nuovo pianeta dopo l'esodo dalla terra, ma queste non vengono sviluppate in fase di sceneggiatura. Il messaggio ambientalista di fondo è appena accennato, così come tutto il resto della mitologia del nuovo ordine sociale e la guerra contro gli alieni rapidamente evocate in una parte troppo sbrigativa perché possano trasmettere la necessaria suggestione. Il codice dei Ranger, le sciabole che sono la loro arma principale ed estensione della forza interiore, nonché tutta la derivazione filosofica della paura come scelta e l'arte di essere invisibili al nemico contenendo e dominando la paura stessa, tutto questo promette bene ma viene restituito solo in breve dalla voce fuori campo iniziale ed è una strada che il film rinuncia poi a seguire. Le scenografie di Tom Sanders hanno un accattivante e voluto taglio minimalista, gli ambienti non sono così futuristici nell'accezione classica del termine come in tanta cinematografia di genere: il design e le architetture sottendono un'umanità che utilizza una sorta di eco-costruzioni in armonia con l'ambiente, come se i terrestri avessero imparato la lezione dopo aver distrutto il loro pianeta. Anche l'astronave a suo modo è affascinante, sembra quasi organica, o meglio creata con materiali di recupero: tende di plastica a soffietto, maschere per l'ossigeno che sarebbero retrò anche nella più vetusta delle compagnia aree di oggi, il fluido respiratorio in una rotellina che sembra filo interdentale. Mancanza di mezzi? Non proprio, visti i 130 milioni di dollari di budget. Scelta stilistica quindi, ma senza la necessaria convinzione nel perseguirla o darle il giusto rilievo. Si allinea allo stile anche il concept delle armi che non annovera laser o disintegratori vari, ma una sciabola a lame retrattili con impugnatura touch, un misto tra una light sabre, una katana e un coltellino svizzero del futuro: molto cool e vagamente retrò, come la tuta intelligente che cambia colore a seconda della situazione e dell'ambiente.

La prima parte sbrigativa non aiuta a creare un'empatia coi personaggi che diventa necessaria se si vuole godere di tutto il resto del film: i personaggi anch'essi non ci aiutano ad appassionarci alle loro sorti perché purtroppo non riescono ad essere simpatici nemmeno per un momento.
Dopo il naufragio dell'astronave sul pianeta Terra, la sceneggiatura si assesta su ritmi piuttosto monotoni: la storia diventa una sorta di runner game a ostacoli dove il protagonista è guidato dal padre davanti agli schermi dell'astronave che diventano una consolle dove visualizzare traiettorie, stato vitale, energia rimasta. Qui di fantascienza classica rimane ben poco, potremmo essere in un contesto qualunque reale o virtuale, l'ambientazione nel futuro lontanissimo è soltanto un pretesto per dare il via al corri, salta, cerca, che potrebbe essere ambientato in Alaska o una qualsiasi giungla inospitale da qualche parte del mondo. Gli scenari sono molto belli, dal deserto dello Utah per le scene su Nova Prime (poche) con gli insediamenti umani, fino alla giungla del Costa Rica che riproduce i paesaggi ancestrali di un terra selvaggia e primitiva tornata al suo stato primordiale: oltretutto il film è girato con una Sony F65 4K, una macchina da presa all'avanguardia che offre la risoluzione più alta mai usata al cinema sino ad ora, chissà vederlo in IMAX.

Gli effetti speciali lasciano invece un po' perplessi: il pluripremiato responsabile Jonathan Rothbart realizza creature generate al computer insolitamente poco realistiche, l'uccello gigante sembra fatto da Ray Harryhausen e uscito da Scontro di titani. Alla fine il film dovrebbe diventare un film sui sentimenti, sul rapporto tra padre e figlio, sul figlio che impara a camminare da solo con le proprie gambe perché il genitore gli ha insegnato tutto ciò che poteva insegnarli. Decisamente padre e figlio avevano fatto meglio in coppia dal punto di vista emozionale ne La ricerca della felicità. Jaden è una promessa ma per reggere un kolossal di questa portata ha ancora le spalle troppo gracili. Soprattutto Will Smith rimane in disparte per tutto il film con la stessa espressione dall'inizio alla fine, tentando di fare una cosa fisiologicamente impossibile per lui, cioè quella di essere duro e antipatico, perciò è difficile prenderlo sul serio, per lo meno così sul serio quanto invece cerca di prendersi lui e l'intero film.

Movieplayer.it

3.0/5