Quando si è un Classico Disney, si viene alla luce schiacciati da un carico di responsabilità enorme, che risiede in questa stessa definizione che è insieme promessa di gloria eterna e condanna a dover far bene. Così ci si sente anche a scrivere la recensione di Raya e l'ultimo drago, consapevoli dell'attenzione che sarà riservata al film d'animazione Disney e, di conseguenza e di riflesso, alle nostre parole. Allora togliamoci subito il dente: Raya e l'ultimo drago è un buon film? Sì, secondo noi lo è: a dispetto di alcuni problemi e difetti che lo contraddistinguono, è una storia che ha un'anima, che ha una forza interiore che lo spinge e sostiene, che dà la sensazione di aver lottato duramente per venire alla luce. Lo possiamo vedere su Disney+ dal 5 marzo, con la formula già collaudata dell'accesso VIP.
Alla ricerca dell'ultimo drago
Raya e l'ultimo drago ci porta nel fantastico mondo di Kumandra. Un luogo in cui umani e draghi vivevano in armonia, fino a quando dei mostri minacciosi, chiamati Druun, non ne hanno minato la pace e costretto i draghi a sacrificarsi per salvare l'umanità. Da quel giorno sono passati cinquecento anni e quella minaccia è tornata, così la guerriera solitaria Raya è costretta a farsi carico di una missione fondamentale: trovare l'ultimo drago leggendario per poter riunire il suo popolo, ormai diviso. Un compito, e un viaggio, in cui Raya non sarà sola, e questo le farà capire l'importanza della cooperazione e della fiducia nei confronti del prossimo, molto più fondamentali e utili di un drago per arrivare a salvare il mondo.
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Storia di due principesse
I fondamenti della storia ci vengono tratteggiati in un suggestivo incipit realizzato con tecnica e stile diversi da quello che ci condurrà nelle vicende principali del film, ispirandosi a un immaginario vicino a quello del sud est asiatico predominante in tutto Raya e l'ultimo drago: Disney continua, infatti, il suo percorso all'insegna dell'inclusività e lo porta un passo più avanti con questo nuovo lavoro diretto da Don Hall (già autore di Big Hero 6 e l'ultimo Winnie the Pooh) e Carlos López Estrada. Un discorso perfettamente incarnato dalle figure principali della storia, la Raya del titolo e la sua antagonista Namaari, contrapposte e differenti: due donne fiere, forti sia fisicamente che di spirito, determinate, nuove principesse Disney che mettono in scena gruppi etnici diversi e che come le loro predecessori Vaiana di Oceania o Elsa e Anna di Frozen non hanno bisogno di un principe azzurro per trovare scopo e compimento.
Altalenante invece il lavoro fatto sui comprimari, perché al drago d'acqua Sisu, reso in modo eccellente dalla doppiatrice originale Awkafina che detta la sua animazione esplosiva e sopra le righe, si accompagnano altre figure che appaiono più puramente funzionali all'intreccio e alla composizione di un cast animato che possa soddisfare ogni tipo di pubblico, ideate e messe insieme con lo scopo di comporre un quadro eterogeneo e ritagliarsi uno spazio nei cuori degli spettatori, con menzione speciale per la piccola Noi e la sua banda di ladruncoli Ongi. Pur con questo limite di partenza, ogni personaggio di contorno riesce a contribuire all'economia di una storia che cerca di trovare un proprio equilibrio, non sempre riuscendoci, tra la componente action e le scene di combattimento da una parte e le sequenze che strizzano l'occhio al pubblico più giovane dall'altra, tra la voglia di realizzare qualcosa di più maturo e la necessità di non abbandonare la via maestra.
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Classico, di nome e di fatto
Una varietà che si riscontra anche nelle ambientazioni, nei cinque regni in cui il mondo del film è diviso (Heart, Talon, Fang, Spine e Tail, parti di un corpo diviso da ricomporre), ognuno con il suo stile proprio e ben definito, tutti ispirati ai luoghi del sud-est asiatico, che dimostrano un incredibile lavoro sulla componente creativa e nel cosiddetto world building, al netto di una leggera carenza dal punto di vista dell'omogeneità nel livello di dettaglio e approfondimento riservato a ogni ambiente che ci troviamo a visitare: se da una parte questa attenzione regala un viaggio ricco e visivamente appagante, condito da alcune immagini di grande impatto, da un'altra la sensazione è che non tutti gli ambienti che ci vengono mostrati abbiano lo stello livello di dettaglio e cura.
Su quest'ultima nota, però, ci sentiamo di sospendere o rimandare il giudizio definitivo, perché la visione casalinga a cui siamo costretti in questo periodo ci limita nel confronto con i precedenti Classici Disney che abbiamo potuto godere su grande schermo, così come erano stati immaginati dagli autori. Quello che in ogni caso riesce a superare questa barriera è la forza interiore di un film che dà la sensazione di aver lottato per venir fuori, di una storia che si è sforzata di emergere con tutta la forza del suo messaggio di unità, fiducia nel prossimo e necessità di trovare l'appoggio dei propri familiari e compagni di avventura. Un messaggio che echeggia potente nel mondo che stiamo vivendo e che è importante veicolare in una storia che raggiunge anche, e soprattutto, le nuove generazioni.
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Conclusioni
Lo ribadiamo in conclusione della nostra recensione di Raya e l'ultimo drago: il nuovo Classico Disney è un film che ha un'anima forte e vibrante, che riesce a superare e mettere in secondo piano i problemi di equilibrio e coerenza narrativa. Lo fa grazie alla forza delle sue protagoniste e del messaggio, nonché a una fantastica Awkafina che regala una delle migliori performance vocali dai tempi di Robin Williams in Aladdin. Per tutto questo ci sentiamo di promuoverlo e sostenerlo, nella speranza che la Disney prosegua sulla strada che negli ultimi anni è stata tracciata solo parzialmente.
Perché ci piace
- Le due figure femminili protagoniste, rivali fiere e determinate.
- Il lavoro di Akwafina sul doppiaggio originale del drago Sisu.
- Le sequenze d'azione, splendidamente coreografate.
- La varietà e ricchezza visiva nella costruzione del mondo in cui la storia si muove, che attinge alle suggestioni dei vari paesi del sud-est asiatico.
Cosa non va
- Alcuni problemi di equilibrio nella gestione della storia e delle sue componenti, dall'azione alle parentesi leggere per il pubblico più giovane.
- Un peccato non poterlo vedere su grande schermo.