Riavvolgiamo il nastro fino a qualche giorno fa per rivivere l'ultima giornata del Ravenna Nightmare Film Fest. The Dark Side Of Cinema è il claim della rassegna, e rende bene l'idea: tutto il festival è stato un viaggio dentro i meandri oscuri della nostra natura, in quel "buio" che di tanto in tanto coglie l'umanità. Rwanda, il film di Riccardo Salvetti che è stato presentato l'ultima giornata, nella sezione Showcase Emilia-Romagna, è un chiaro esempio di tutto questo. E anche di quello che è stato un tema portante di tutto il Ravenna Nightmare; il rapporto tra realtà e finzione. Rwanda è una storia vera dentro una storia vera: riprende uno spettacolo teatrale e ne fa un film, ma in una maniera non banale.
Due attori di teatro, Marco Cortesi e Mara Moschini, avevano raccolto la testimonianza di Cecile e Augustin, due sopravvissuti al genocidio avvenuto in Rwanda nel 1994, e ne hanno fatto uno spettacolo portato a teatro per 300 repliche. Una volta finito questo spettacolo, c'è stata la voglia di fissare tutto quello che era rimasto, e di farne un film. "La mia scelta è stata quella di lasciare in scena, come protagonisti del film, Mara e Marco" spiega il regista. "Vicende come queste sembrano lontane, e il fatto che ci siano due persone che raccontano la vita di questi sopravvissuti, tanto da mettersi nei loro panni, è un modo per far sì che il pubblico si appassioni alla storia". L'escamotage è riuscito: vedere due ragazzi europei, italiani, dentro a questa vicenda spaventosa, ci trascina immediatamente dentro la storia. E ci fa capire che poteva succedere a ognuno di noi. Abbiamo solo avuto la fortuna di nascere da un'altra parte del mondo.
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Il Rwanda... alla periferia di Forlì
Rwanda alterna i monologhi dei due attori a teatro alle scene in cui sono letteralmente catapultati nel centro dell'azione. "Per riuscire a costruire un racconto su due livelli avevo già chiaro quello che era il racconto teatrale e quello di fiction" commenta Riccardo Salvetti. "La cosa più difficile è stata proprio rappresentare il racconto teatrale. Il linguaggio teatrale e quello cinematografico sono molto diversi. Dopo aver ascoltato l'audio dello spettacolo c'è stato un momento in cui abbiamo dovuto decidere cosa tenere in teatro cosa portare al cinema e come mischiare questi due mondi". A proposito di finzione, è interessante sapere dove è stato girato il film. Sembra davvero di stare in Africa, ma siamo molto, molto più vicino. "L'ambientazione è una di quelle cose che fanno ridere, quando confesso che ho girato tutto alla periferia di Forlì" ci svela il regista. "Il budget era sufficiente appena per realizzare l'opera, l'idea di andare in trasferta in Rwanda era impossibile. Abbiamo fatto un bel lavoro di location scouting: alle foci del fiume Ronco c'è una riserva naturale che all'epoca era abbandonata, oggi è riqualificata ed è diventata la Forlì marittima".
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Buoni e cattivi
Il Rwanda è stato un dramma dove buoni e cattivi, vittime e carnefici si sono confusi. Molte persone, nel conflitto tra Hutu e Tutsi, si sono viste costrette a uccidere loro malgrado, pur di non essere a loro volta uccisi. "C'era la difficoltà di accettare o meno quello che si sta facendo" racconta il regista. "Cercavamo di far emergere la cosa: lo faccio perché sono costretto, L'autoassunzione di droghe e alcol per fare atti del genere era una costante. Ho letto un libro di miliziani Hutu che dopo il genocidio hanno vissuto la loro vita con traumi incredibili. Lo facevano perché lo facevano tutti, per salvare la propria famiglia. Per riuscire a fare hanno assunto molte sostanze. Una volta finito il genocidio e ripresa la lucidità si sono resi conto dei gesti atroci che hanno commesso e hanno avuto conseguenze psicologiche molto dure. I cattivi erano cattivi, ma erano portati ad esserlo per non diventare loro stessi vittime".
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Da Accadde in Aprile a Hotel Rwanda
Rwanda è il risultato finale di un grande lavoro di documentazione, fatta attraverso testimonianze di sopravvissuti, libri e anche film. "Accadde in aprile è il film che mi ha indirizzato di più" confessa il regista. "Ma quello che mi ha influenzato di più a livello di confronto è stato Hotel Rwanda. Una delle prime spinte e prime preoccupazioni che ho avuto è stata il confronto con questo film. E anche quello è stato uno dei motivi della scelta di questo tipo di messa in scena, l'inserimento di un punto di vista di due persone bianche nella vicenda africana. L'idea era trovare una chiave narrativa mai utilizzata prima". "L'altra cosa che volevo ottenere era un'idea di genocidio, l'angoscia nel piccolo villaggio, ma senza scadere nella violenza troppo esplicita" aggiunge il regista. "Tutto è stato molto suggerito, c'è la suggestione del genocidio. Molte persone ruandesi, pur apprezzando la messinscena, mi hanno detto: se tu fossi stato lì avresti scelto una messinscena più dura. Facendo un confronto con i numeri delle vittime dell'attentato dell'11 settembre a New York, è come se, in quei giorni, in Rwanda stessero cadendo 6 torri gemelle al giorno".
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Un laboratorio di integrazione
Alla fine Rwanda è diventato un film da 400 comparse - in totale, non al giorno - ed è stato anche un grande laboratorio di integrazione. "Ci siamo rivolti ad associazioni che si occupano di accoglienza" ci ha rivelato il regista del film. "Molti ragazzi africani, in attesa di una collocazione, venivano portati sul set, come esperienza culturale di integrazione". "È stata un'esperienza molto toccante anche l'aver fatto conoscenza con alcuni ragazzi di un'associazione italiana che nel 1994 si trovava in Rwanda per dare una mano a dei ragazzi in un istituto di cura" ci racconta Salvetti. "Nel momento in cui il genocidio è scoppiato i medici e gli infermieri hanno salvato 41 bambini caricandoli sull'aereo che era venuto a prenderli e portarli in Italia. Per portarli in salvo, però, li hanno strappati alla terra d'origine. Tanti di questi bambini, che oggi sono cresciuti e abitano in Italia, hanno voluto partecipare al film: è stato un modo per metabolizzare un genocidio che non avevano vissuto realmente. È stato un modo per capire cosa aveva innescato tutto questo".
Dirigere Mara e Marco
Abbiamo chiesto allora a Riccardo Salvetti che cosa ha significato dirigere, per questo film, i due attori che avevano già portato questa storia a teatro, e si ritrovavano a girarla ancora, ma con un altro linguaggio, quello del cinema. "Mara e Marco sono due attori di grande abilità e professionalità" ci ha risposto il regista. "Non avevano bisogno di essere troppo guidati, il registro teatrale è diverso da quello cinematografico. La messinscena del film era diversa, anche se raccontava la stessa storia. Sul palco teatrale non c'era bisogno di dirigerli su niente. Sulla parte cinematografica si trattava di togliere il registro teatrale e contestualizzarlo nella scena da girare. È stato un lavoro molto naturale che è venuto da sé. Anche con Aaron e Rosanna, due attori fantastici. La difficoltà più grande è stata coinvolgere tutti gli altri, che erano attori alla prima esperienza o non attori".