Presentato in concorso alla 78esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Qui rido io è in sala dal 9 settembre. Dopo Il sindaco del rione Sanità (2019), Mario Martone torna a confrontarsi con il teatro napoletano, in particolare quello della famiglia Scarpetta-De Filippo. Stavolta va all'origine, raccontando la storia di Eduardo Scarpetta in persona, interpretato da un Toni Servillo perfetto.
Scarpetta qui è già l'idolo del pubblico, il "re della risata", inventore del personaggio di Felice Sciosciammocca, protagonista della commedia Miseria e nobiltà, che arriverà poi anche al cinema interpretato da Totò. Mario Martone racconta il suo genio, la sua vitalità, anche la vanità e ci porta all'interno di una compagnia teatrale che è letteralmente una famiglia, in quanto sono tutti figli e figliastri di Scarpetta.
Nel cast anche Maria Nazionale, Cristiana Dell'Anna, Antonia Truppo, Lino Musella, Paolo Pierobon, Ilia Forte ed Eduardo Scarpetta, discendente proprio di quell'Eduardo Scarpetta. La causa tra Scarpetta e Gabriele D'Annunzio per la parodia di La figlia di Iorio permette inoltre di riflettere sulla cultura definita alta e quella bassa, tra arte e successo, tradizione e innovazione. Ne abbiamo parlato con Toni Servillo, incontrato proprio al Lido di Venezia.
Intervista video a Toni Servillo
Qui rido io, la recensione: essere regista della propria fiera parodia
Qui rido io: l'arte non è celebrità
Nel film si dice: "Questa è una vita da cani, ma noi la amiamo lo stesso". Oggi invece molto spesso si sceglie la carriera da attori per l'idea della celebrità. È per questo che in pochi sono davvero artisti?
Molto interessante questa domanda. Tra i tanti argomenti di questo romanzo cinematografico che Martone ha realizzato, c'è anche quello della vita del teatro. E si capisce che è una vita in salita. Oggi invece molti segnali, anche corruttivi, vanno nella direzione di ritenere che il teatro, il cinema siano un'occasione per fuggire alla mediocrità. E non è così. È un mestiere, se ci vogliamo attenere al film. È un mestiere che si impara da piccoli, che si amministra con molte rinunce, attraverso molta disciplina. E di conseguenza può dare molte soddisfazioni. Ma è un mestiere, che ha le sue regole da rispettare e ha i suoi sacrifici.
Qui rido io: gli attori e la vanità
Nel film vediamo che Scarpetta si fa mettere in casa dieci gigantografie di se stesso, si celebra con feste. Un po' come fanno oggi gli attori che si sponsorizzano su Instagram e con eventi. Come si concilia l'arte con questo?
Questo non credo che sia da mettere in relazione. Nel senso che l'attore naturalmente ha, tra le benzine varie che mette nel suo motore, anche una componente narcisa. In alcuni è particolarmente forte. Scarpetta veniva dal nulla, quello che ha conquistato lo ha conquistato con la sua forza, col suo impegno, e a un certo punto si celebra, perché sente che il pubblico lo celebra. È stato uno straordinario aggregatore di energie della città e ha dispensato un buonumore che è stato necessario. Che è necessario anche alla vita. È stato un riformatore, per certi aspetti, del teatro napoletano. Il pubblico gli riconosceva la figura di un re della risata e lui, con una dose di narcisismo, che però a me personalmente lo rende anche simpatico, non sfuggiva alle occasioni in cui si poteva auto celebrare. In questo racconto celebra la vita in tutti i suoi aspetti.
Qui rido io, Toni Servillo: "Scarpetta era un attore che celebrava la vita."
Qui rido io: il teatro come tradizione e innovazione
A un certo punto però dice ai suoi figli che il personaggio di Felice Sciosciammocca è un'eredità, smettendo di rinnovarsi.
Era anche un grande amministratore. Quest'uomo non si improvvisava: era drammaturgo, regista, impresario e attore. Racchiudeva in sé tante figure, che assorbivano completamente la sua esistenza. Aveva inventato un personaggio che aveva sostituito in qualche modo Pulcinella della famiglia Petito, nella quale lui si era formato. Adorato dal pubblico dell'epoca, che amava Felice Sciosciammocca, voleva che questa tradizione si ripetesse nel tempo, che diventasse una figura per lo meno importante e immortale come quella di Pulcinella. Non c'è riuscito a scalzare Pulcinella nell'immaginario collettivo, ma ha creato qualche cosa, durante la sua attività, di molto, molto importante.
Il figlio però nel film gli dice che lui è morto, perché vuole fare sempre lo stesso personaggio. Come succede un po' oggi quando si vogliono fare molti sequel.
È vero. Ma qui la cosa più affascinante è la relazione padre figlio, che mette in campo anche argomenti che, in varie situazioni della vita, ci toccano tutti. Si avverte che qualcosa sta finendo e i giovani incalzano per sostituirti. E lui, da attore, su questo argomento fremeva. Non voleva darla vinta in nessun modo. Tanto è vero che, da grande attore, decide lui di chiudere il sipario sulla sua attività. Non aspetta che il pubblico lo dimentichi, ma è lui a dire arrivederci.