"Applaudono sempre quando accendono le luci di sera, succede ogni volta." "Chissà perché." "Molti dicono che per un gran numero di persone la sera è la parte migliore della giornata: la parte in cui si confida di più. E voi in cosa confidate di più, Mister Stevens?"
Dall'ultima conversazione fra James Stevens e Sally Kenton trapela un amalgama di malinconia, rassegnazione e, al contempo, di speranza. È un amalgama le cui diverse componenti non sono facilmente districabili: sia perché ancora una volta i due protagonisti di Quel che resta del giorno, restii ad abbandonarsi a una schietta sincerità, affidano i propri pensieri a metafore e sottintesi, sia perché probabilmente loro stessi non sono in grado di distinguere in maniera netta il confine fra un'emozione e l'altra. Perlomeno non lo è Mister Stevens, il cui tratto distintivo è una sorta di afasia sentimentale, corroborata dalla rigorosa aderenza al proprio ruolo: il maggiordomo perfetto, il quale dichiara di non aspettare altro che tornare alla magione di cui è responsabile per risolverne ogni minima criticità. Ma al termine della giornata, è davvero questo ciò in cui Stevens confida di più?
Società e sentimenti nel cinema di James Ivory
La dicotomia fra la natura irruenta delle emozioni e la rigidità dei codici sociali, tema al cuore di Quel che resta del giorno, costituisce uno dei nuclei fondativi di quasi tutto il cinema di James Ivory: un cinema in cui la vita interiore dei personaggi è sottoposta alla tensione costante del confronto con una realtà che spesso li inibisce, li ingabbia o li costringe a piegarsi alle convenzioni, o in alternativa a sfidarle a loro rischio e pericolo. Presumibilmente è per questo che il regista americano, nato in California nel 1928 e cresciuto in Oregon, è stato attratto così spesso da storie ambientate nella cornice dell'alta borghesia degli Stati Uniti del diciannovesimo secolo o nel panorama della Gran Bretagna a cavallo fra l'età edoardiana e la metà del Novecento, raggiungendo la notorietà internazionale - insieme al suo partner, il produttore indiano Ismail Merchant - grazie agli adattamenti dei romanzi di Henry James e soprattutto di Edward Morgan Forster.
È nel 1986, sull'onda dell'eccellente riscontro per Camera con vista, che la Merchant Ivory Productions inizia a diventare un ideale "marchio di fabbrica" in cui il pubblico identifica una serie di caratteristiche ricorrenti. Alla prima, fortunatissima incursione nella narrativa di Forster seguiranno nel 1987 lo splendido Maurice e nel 1992 Casa Howard, che si aggiudica tre premi Oscar e si impone come il massimo successo commerciale di James Ivory negli Stati Uniti. È sull'onda di questo plebiscito che il regista, sempre insieme a Ismail Merchant e alla sceneggiatrice Ruth Prawer Jhabvala, giunge al timone di un progetto che non potrebbe essere più adatto alla sua sensibilità di cineasta: la trasposizione del romanzo dell'autore giapponese Kazuo Ishiguro, pubblicato nel 1989 ottenendo il Booker Prize e diventando un immediato fenomeno letterario. Personaggio centrale e voce narrante del libro è un maggiordomo inglese, Stevens, che rievoca gli anni antecedenti allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
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Il maggiordomo perfetto in un'Inghilterra al crepuscolo
In prima istanza, a portare Quel che resta del giorno sul grande schermo avrebbe dovuto essere Mike Nichols, sulla base di un copione scritto da Harold Pinter; Nichols, tuttavia, decide di lasciare il compito ad Ivory (partecipando in qualità di co-produttore), mentre la sceneggiatura viene rielaborata da Ruth Prawer Jhabvala, inducendo Pinter a rimuovere la propria firma dal progetto. Il 5 novembre 1993 Quel che resta del giorno fa il suo debutto negli Stati Uniti, mentre una settimana più tardi approda nelle sale britanniche: il responso è entusiastico, il numero di spettatori sfiora quello registrato l'anno prima da Casa Howard e la pellicola riceverà otto nomination agli Oscar, fra cui le candidature per miglior film e regia e per la coppia di protagonisti, Anthony Hopkins (premiato con il BAFTA Award come miglior attore) ed Emma Thompson, che tornano a farsi dirigere da Ivory dopo aver già diviso la scena in Casa Howard.
James Stevens, il maggiordomo perfetto, viene ritratto da Hopkins con autocontrollo inflessibile: la sua figura è improntata a una dignitosa compostezza; il volto è una maschera di imperturbabilità da cui solo a tratti trapela qualche bagliore improvviso, subito represso da Stevens con angosciata rapidità. Nella sua esistenza, consacrata al servizio dell'aristocratico Lord Darlington (James Fox), non resta alcun margine per il dubbio, né tantomeno per i suoi desideri individuali: la quotidianità di Stevens è scandita dai ritmi che regolano la vita nella lussuosa residenza di campagna di Darlington Hall, mentre la fedeltà al padrone si coniuga a una fiducia pressoché assoluta in un sistema - sociale e politico - ormai al crepuscolo. In tal senso, il legame di Stevens per le gloriose (?) tradizioni della vecchia Inghilterra sarà messo alla prova dagli implacabili meccanismi della storia, alla vigilia di una catastrofe determinata in larga misura proprio dall'incompetenza della diplomazia britannica.
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Le parole non dette
L'inadeguatezza di Lord Darlington e dei suoi sodali, bollati come "dilettanti della politica", viene denunciata dal deputato americano Jack Lewis (Christopher Reeve), che cerca invano di mettere in guardia gli europei sulla minaccia nazista; analogamente è un membro della nuova generazione, Reginald Cardinal (Hugh Grant), a scagliarsi contro l'inettitudine del suo padrino Lord Darlington, senza però ottenere l'approvazione di Stevens. Se quest'ultimo si rifiuta di riconoscere la meschinità di una classe dirigente che non esita a umiliarlo per sbeffeggiare la radice stessa della democrazia (nella scena in cui viene preso come esempio dell'"uomo della strada"), una consapevolezza ben più profonda emerge dalla Miss Kenton di Emma Thompson: "Sì, sono una vigliacca. La verità è che non ho il coraggio di andarmene: tutto ciò che vedo nel mondo è solitudine, e questo mi spaventa. Ecco quanto valgono i miei nobili principi, Mister Stevens; ho vergogna di me stessa".
A rendere Quel che resta del giorno la massima vetta del cinema di Ivory è anche l'impeccabile fluidità del connubio fra la dimensione politica del racconto e le implicazioni etiche riguardanti i due protagonisti, con le inesorabili ricadute sulle loro vicende private. Stevens, incapace di mettere in discussione le scelte di Lord Darlington, non ha nemmeno il coraggio di accettare i propri sentimenti per Miss Kenton, e cela con pudore il romanzo d'amore che la donna gli strappa letteralmente dalle mani; mentre lei, più disposta ad accogliere la pienezza dell'esistenza, tenterà di incrinarne la corazza, arrivando appena a scalfirla. Ma a dispetto della freddezza di Stevens, il film non fa mai venir meno l'empatia per questo personaggio, vittima di se stesso e del mondo a cui appartiene, pure per merito dell'interpretazione di un magnifico Anthony Hopkins; e si chiude su un finale indimenticabile, pervaso dal quieto struggimento delle parole non dette e delle emozioni che prendono vita nel breve spazio di un addio.